6.5
- Band: MESHUGGAH
- Durata: 00:47:09
- Disponibile dal: 23/05/2005
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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Un mini (l’eccellente “I”) e un full length in meno di un anno… che non si dica più che i Meshuggah sono un gruppo poco produttivo! Dopo la pubblicazione di “Nothing”, i quattro svedesi erano – come al solito – finiti un po’ in sordina, ma ora sembra proprio che vogliano tornare ai livelli di popolarità di un tempo, sfornando un lavoro dopo l’altro e tornando a calcare i palchi con più costanza (dopo dieci anni li rivedremo presto nuovamente in Italia!). “Catch 33”, a dire il vero, non deve però essere considerato il nuovo, ufficiale, album dei Meshuggah: deve essere infatti visto come un capitolo a parte della discografia dei nostri, un prodotto altamente sperimentale da tempo in lavorazione che riesce solo oggi a vedere la luce e che, con tutta probabilità, non verrà mai riproposto in sede live. “Catch 33” consta di una sola composizione della durata di circa cinquanta minuti e ci presenta dei Meshuggah più che mai inclini a generare un caos controllato, artefici di una lunghissima suite assolutamente solida e coerente, ma zeppa di singoli elementi iper tecnici, completamente devianti e convulsi… a partire da un lavoro di chitarre costantemente arzigogolato, imprevedibile e schizoide, di difficilissima assimilazione. Chi conosce “Nothing” saprà forse già cosa aspettarsi, ma, a nostro avviso, il riffing e l’ipnotico andamento della batteria di “Catch 33” sono forse anche ben più faticosi da digerire di quelli contenuti nel precedente full length, se non altro perché qui la melodia è quasi del tutto assente! La nuova opera dei Meshuggah è incredibilmente più pesante, ossessiva e paranoica di tutto ciò che la band ci ha offerto in carriera e per affrontarla bisogna davvero armarsi di buona volontà e di smisurata pazienza. Una cosa infatti è certa: per cominciare a capirci qualcosa saranno necessari più e più ascolti. Sinceramente, la prima parte della composizione non è nulla di speciale – eccessivamente quadrata e monotona, con diversi cali di tensione e pochi spunti davvero degni di nota – ma nel finale c’è veramente da mettersi le mani nei capelli tanta è la carne al fuoco: riff ispiratissimi, break geniali, un drumming che finalmente si lascia andare a qualche accelerazione e che perciò vivacizza ancor di più il lavoro delle due asce. Sia ben chiaro: chi ha detestato “Nothing” è meglio che lasci perdere e che si orienti su qualcos’altro, onde evitare un esaurimento nervoso, però per i die-hard fan, magari da “Mind’s Mirrors” in poi, il coinvolgimento sarà quasi assicurato. Tirando le somme, bisogna ammettere che i Meshuggah questa volta hanno forse osato troppo, esagerando per un po’ nel voler essere cervellotici e contorti, però – almeno per una trentina di minuti – hanno anche confermato di essere musicisti e songwriter assolutamente fuori dal comune: una traccia come “In Death – Is Death” lascia sbigottiti… ascoltare per credere!