9.0
- Band: MESHUGGAH
- Durata: 00:46:31
- Disponibile dal: 25/07/1995
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Chiunque ascolti metal da più di qualche giorno, non può non essersi mai imbattuto in una canzone come “Future Breed Machine” che, oltre ad essere l’inizio di “Destroy Erase Improve”, seconda fatica in studio degli svedesi Meshuggah, è anche una delle canzoni più rappresentative di questa band e più in generale di un certo modo di suonare metal. Si inizia con suoni di macchine industriali di sottofondo fino a quando l’ascoltatore non viene travolto da una serie di riff storti e sbilenchi, accompagnati da ritmiche dispari, singhiozzate, controtempate ma allo stesso modo solide, granitiche e impenetrabili. Senza il timore di venire smentiti potremmo affermare che da questo momento in avanti, il modo di suonare metal non sarà più lo stesso. Con questa canzone di apertura – e con questo disco in generale – i Meshuggah hanno creato un modo di intendere ritmiche che non vi è altro modo di descrivere se non “alla Meshuggah”. L’incalzare di questi tempi impensabili per il 1995, anno di pubblicazione del disco, procede canzone dopo canzone, rinchiudendo l’ascoltatore tra quattro grigie e impenetrabili mura di suono, con soltanto qualche suite solistica a intermezzare questa incessante cascata di battute che col passare degli ascolti diventano quasi ipnotiche. Attenzione però, un accento va necessariamente posto sulle parti solistiche, precisando che non si sta parlando della classica maniera di intendere gli assoli con scale di note, dimostrazioni di velocità o ricerche di melodie da guitar hero. Si parla di vere e proprie suite strumentali, dove tra una battuta di rullante data all’ultimo secondo possibile prima dello scoccare della battuta successiva e un colpo di piatti, arpeggi acquosi creano un sottofondo dal retrogusto vagamente jazz. Come se nulla fosse appaiono letteralmente dal nulla decine di note che inizialmente potrebbero sembrare interferenze tastieristiche, ma ad un ascolto più attento ci si rende conto che questi sono quelli che i Meshuggah chiamano assoli: cascate di note in tapping, come se fossero suoni emessi da un computer, oppure lunghe note di cui non si riesce a riconoscere un inizio o una fine, che irrompono in questi frangenti dove l’ascoltatore rimane intrappolato e ipnotizzato, senza speranza di uscirne sano di mente. “Acrid Placidity” è l’unico episodio in cui le orecchie e la mente si riposano, con queste note dissonanti che ci rispediscono ben presto ai consueti muri di suono, rimiche schizofreniche e urla lancinanti di Jens Kidman, volutamente monocordi, che svolgono più che altro una funzione di vero e proprio strumento ritmico. I Meshuggah, scrivendo questo album, hanno creato un mostro, sono divenuti una macchina da guerra, dando il LA a tutta una serie di altre band che prenderanno spunto dal loro modo di intendere il metal. Parliamo di un disco che è uscito nel 1995 ma che nel 2011 (e crediamo per molti altri anni ancora) suona ancora terribilmente attuale, un album che trasuda genialità in ogni singola nota, in ogni battuta e in ogni urlo. Un capolavoro del genere non può e non deve assolutamente mancare nella collezione di nessun sedicente appassionato di metal.