8.0
- Band: MESHUGGAH
- Durata: 00:54:32
- Disponibile dal: 23/03/2012
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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I Meshuggah sono una band piuttosto atipica per il metal-biz attuale, e d’altronde essendo nati sul finire degli anni Ottanta è anche giusto che sia così: parsimoniosi nel loro concedersi; pressoché sempre lontani dai riflettori; avari di aggiornamenti che non siano utili al loro aspetto prettamente musicale; non esattamente produttori di musica a getto continuo – sebbene la loro discografia sia infatti piuttosto corposa, intendiamo dire che tra un full-length e un altro è sempre intercorso un tempo notevole. E così, a ben quattro anni di distanza da quello che fu un vero capolavoro, “ObZen”, la band composta da Tomas Haake, Fredrik Thordendal, Jens Kidman, Marten Hagstrom e Dick Lovgren torna a farsi risentire con l’attesissimo “Koloss”, la cui nostra anteprima tramite track-by-track vi dovrebbe aver già ingolosito in merito. Ci si aspettava, all’alba della diffusione del singolo “Break Those Bones Whose Sinews Gave It Motion”, un ritorno a delle sonorità più monolitiche e sfiancanti, quasi impossibili da reggere per i non iniziati alle atmosfere gelide e cibernetiche della band. Ma invece non è affatto così: diciamo pure che “Koloss”, settimo full del combo di Umea, si attesta dietro il precedente lavoro in quanto a varietà compositiva, alternando sapientemente episodi asfissianti e occludenti a sfuriate di pura violenza, fra cui spiccano il tupa-tupa duro e puro di “The Hurt That Finds You First” e l’assalto senza mezzi termini del riffing distruttivo di “The Demon’s Name Is Surveillance”. Ci piace sottolineare come l’organicità del suono dei Meshuggah sia stata mantenuta su alti livelli, tramite la solita produzione perfetta per il genere, che permette anche a Kidman di far trasparire un impegno lodevole nel dare un pelo più di espressività alle sue altrimenti facilmente stancanti linee vocali. “Koloss” risulta un album diretto, dove la pur presente anima acustica della band fa capolino solo nell’incipit dell’ottimo “Behind The Sun” e nella totalità della strumentale di chiusura “The Last Vigil”, una sorta di “Acrid Placidity” dilatata e ampliata. I brani in cui i nostri scandinavi, però, danno il meglio di loro sono, a nostro avviso, quelli incentrati su groove fluidi e massacranti, che uniscono tecnica a potenza e voglia di fare headbanging. Si parla, in questo caso, delle tracce “Swarm”, “Marrow” e “Demiurge”, le preferite di chi scrive. Insomma, esattamente all’opposto di quanto si stava prevedendo, il nuovo disco dei Meshuggah presenta nella fantasia e nella varietà i suoi punti di forza, rimarcando le migliori caratteristiche del gruppo con forza e sistemandosi tranquillamente, con i dovuti paragoni, al fianco dei più pregiati trofei della bacheca di questa leggenda del cyber-thrash metal, “Destroy Erase Improve”, “Chaosphere” o “ObZen” che siano. Ennesima gemma di adamantio posta in una corona di acciaio inossidabile.