
8.0
- Band: MESSA
- Durata: 01:04:42
- Disponibile dal: 11/03/2022
- Etichetta:
- Svart Records
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Che i Messa fossero un gruppo tremendamente serio e avessero le qualità per volare alti, ce ne eravamo accorti già con “Belfry” e soprattutto “Feast For Water”. Partendo da una miscela di doom, occult rock, delicatezze cantautorali al femminile e pennellate jazz, i ragazzi di Cittadella avevano dimostrato di saper viaggiare spediti per conto proprio, senza dover tenere la manina a qualche influenza troppo manifesta. “Close”, in quella che è una progressione di personalità e maturità evidente, va ancora oltre, azzardando contaminazioni di ampissime vedute, con una direzione ben precisa dello sguardo, verso l’area mediterranea meridionale e il Medioriente. Non è solo una vaga suggestione data dalla spiazzante copertina, raffigurante una danza rituale ballata dalle donne in alcune zone tra Algeria e Tunisia, la nakh, tema centrale anche del video di “Pilgrim”. È proprio un’intersezione di due mondi, quello dell’hard rock e metal e quello delle sonorità etniche arabe, che prende diverse sfumature all’interno della tracklist. Un tema, questo, che non esaurisce il discorso su cosa siano diventati oggi i Messa, perché l’identità del gruppo è tanto poliedrica quanto coesa.
Se si osserva la componente metallica, si va alla radice di queste sonorità, verso un chitarrismo vintage e sabbathiano, capace di debordare piacevolmente in calde cavalcate come quella di “Dark Horse”, oppure nell’indiavolato excursus della fase centrale di “Rubedo”. Il dosaggio di elettricità e trasognata dolcezza si traduce in composizioni con un taglio da crooner molto accentuato, laddove gli elementi etnici conducono a un impasto di rock malinconico e folclore assai suggestivo. Appoggiandosi alla sempre più elastica ed espressiva voce di Sara, la band pennella quadri musicali di struggente finezza ricorrendo a partiture spesso minimali e spolverate quel che basta di influssi jazz: nell’ala soft della tracklist, impossibile non citare “Orphalese” e il suo sommesso dondolio elettroacustico. Alcuni intrecci di chitarre acustiche e percussioni ricordano addirittura alcuni momenti degli Orphaned Land, per dare l’idea dell’ampiezza di influenze.
Nel miscelare acustico ed elettrico in una danza vigorosa e versatile, valorizzando al meglio sensibilità e severe rumorosità doom, ci pensa poi “Pilgrim”, traccia che facilmente, anche per un refrain particolarmente stentoreo, potrebbe diventare il simbolo dell’album. Una canzone divisa tra midtempo stoner/doom cadenzati, dominati dalla vocalità potente di Sara, e pause colme di una tangibile tensione, un connubio che ci immerge in un’atmosfera calda e tentatrice, ma sa anche introdurci a pensieri inquieti, a un senso di vago pericolo. Nella seconda metà, “Close” si dilata ulteriormente fino a farci perdere la cognizione del tempo, intrappolandoci nelle complesse nenie suonate dal gruppo. Una complessità dovuta a sottigliezze, a un amalgama di acustico, elettrico, arpeggiati, tocchi ritmici e silenzi che conduce a canzoni misteriose e ammalianti come “0=2” e “Serving Him”. La prima parte come una ballata crepuscolare, indirizzandosi su atmosfere care al neofolk, per aprirsi quindi a influssi mediterranei e un andamento più classicamente doom. In ciò i Messa mantengono la loro unicità, attraverso un sentiero ritmico poco uniforme, amante di piccole sconnessioni e avvallamenti, oppure di piccole intrusioni, arrangiamenti poco canonici e la volontà di perdersi, di abbattere i muri e lanciarsi in profluvi di note incontrollati. Un’ottica molto settantiana, con fughe strumentali vibranti e variopinte. “Serving Him” invece ritorna su territori vagamente più hard rock, muovendosi sorniona tra suoni notturni cari alla corrente occult rock, declinati in una forma più sottile e impalpabile. I Messa, qui come altrove, si distinguono per l’abilità nel togliere strumenti, nell’asciugare l’insieme per far meglio risaltare le note importanti, senza inondarci di soluzioni magari scenografiche, ma in fondo ridondanti. Con “Close” possiamo affermare che il quartetto di Cittadella sia giunto alla piena maturazione, scegliendo una strada non facile se vogliamo, perché questo terzo disco richiede comunque una certa predisposizione per essere capito e amato fino in fondo. Le sonorità oscure, evidentemente, sanno ancora sorprenderci.