7.5
- Band: MESSA
- Durata: 00:43:20
- Disponibile dal: 11/04/2025
- Etichetta:
- Metal Blade Records
Spotify:
Apple Music:
Rieccoli i Messa, a tre anni di distanza dal fortunato e celebrato “Close”. Se i primi due albumi, “Belfry” e “Feast For Water”, avevano già fatto girare abbastanza il nome del gruppo, segnalandolo come uno dei migliori esempi di metal plumbeo e oscuro adornato di voce femminile, dalle influenze poco ovvie, un estro compositivo di caratura superiore e un’estetica lontana da facili stereotipi, “Close” andava oltre. Un lavoro forse irripetibile, con gli influssi di sonorità mediterranee e mediorientali a incastrarsi perfettamente all’anima doom e hard rock dei ragazzi veneti, capaci in quel caso di agghindare il tutto di un’indole sperimentale ancora più marcata che nei primi due album. Un disco di spumeggiante creatività, ottimo sia nelle canzoni più dirette e urgenti, sia in quelle dalle parvenze più ermetiche, giocate su tanti influssi differenti e con un amalgama delle varie parti di finissima caratura.
Come anticipato nel track-by-track, con “The Spin” il quartetto si allontana parecchio dai canoni sonori del proprio terzo disco, incorporando suggestioni figlie del dark/gothic rock anni ’80. Un’idea che, sommariamente, potrebbe far pensare a un avvicinamento a tutta quella corrente di metal – con voce femminile o meno in primo piano – influenzato da The Sisters Of Mercy, Killing Joke, Siouxsie And The Banshees che si è presa una bella fetta di mercato negli ultimi anni. La risposta non è così scontata e sicuramente il gruppo non ha voluto infilarsi in un filone già creato da altri perchè, se pure quel tipo di influsso è percepibile, il risultato finale non è nulla di scontato, oppure frivolo, privo di spessore.
I Messa del 2025 rimangono una creatura poliedrica e non così semplice da inquadrare, viaggiano all’interno di tanti mondi, andandone al cuore e non limitandosi a una conoscenza superficiale di essi; questa voglia di esplorare, accostare e miscelare secondo i propri gusti e canoni porta anche stavolta a risultati ragguardevoli, offrendoci una tracklist dai contenuti ambivalenti.
Se da una parte il gruppo offre ad ampi tratti il suo materiale più impetuoso e metallico, dall’altro il senso di incanto, l’adagiarsi nell’onirico e lì confortevolmente fermarsi e dilatare i tempi, è un qualcosa che il gruppo sa fare con grande naturalezza. Mentre il chitarrismo e ancora più la sezione ritmica si spendono in ritmiche dal gusto ottantiano – particolarmente evidenti, ad esempio, nei primi minuti di “At Races” – la vocalità multiforme di Sara ha il potere di portarci altrove, di farci perdere in una dimensione di forme volatili e impalpabili. La cupezza lieve di cui la sua voce è intrisa rimane il perno del Messa-pensiero, che si traduce in alcune canzoni molto dirette e scorrevoli (“Fire In The Roof”, “Reveal”), come in composizioni più articolate, mutevoli nelle atmosfere, nell’intensità e nell’ardore.
Il feeling jazzato che i quattro avevano fatto trasparire fin dall’esordio offre alcuni dei momenti più riusciti, veramente speciali proprio perché in essi l’impronta personale della band è particolarmente incisiva: parliamo dell’avvio morbidamente pianistico di “Immolation” e dell’intermezza di tromba nel secondo singolo “The Dress”, laddove quello strumento si interpone a un andamento più energico e, pur segnando uno stacco ampio con quanto sentito un attimo prima, non stona affatto e va anzi ad aumentare lo spessore del brano.
“The Spin” conferma quindi il talento dei Messa, non ripete però gli eccezionali livelli di “Close”. Se in quell’album si respirava qualcosa di stupefacente praticamente ovunque, si veniva rapiti e ammaliati da un estro compositivo elettrizzante, il suo successore dà sì ottime vibrazioni, ma appare decisamente più ‘normale’. Personalmente, troviamo alcuni frangenti dilatati e lievi non così avvincenti, così che in alcune occasioni, pensiamo all’opener “Void Meridian”, o alla seconda metà di “At Races”, vanno a stemperare eccessivamente la precedente azione metallica, togliendo un poco di pathos: delicatezza e intimismo rimangono cifre importanti per definire il gruppo e non è che i Messa abbiano smarrito la via quando suonano più rarefatti; soltanto, l’emozionalità di questi momenti non è sempre così ammaliante come ci si aspetterebbe.
Mentre l’alone più tenebroso e gotico viene evocato con buona efficacia, e forse ne avremmo gradito pure un maggior dosaggio, pensando soprattutto ai lugubri toni della conclusiva “Thicker Blood”, vicina nel mood al materiale recente dei Tribulation.
Il quarto album della band non mancherà comunque di avere ampi consensi e, complice una sua relativa facilità nell’ascolto rispetto al passato, potrà allargare ulteriormente la platea di chi apprezza la band, ormai una delle realtà metal italiane più riconosciute e celebrate fuori dai nostri confini