7.0
- Band: MICHAEL MONROE
- Durata: 00:42:02
- Disponibile dal: 09/10/2015
- Etichetta:
- Spinefarm
- Distributore: Universal
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Puntuale come un orologio svizzero, l’inarrestabile Michael Monroe rilascia la sua terza opera di inediti in soli quattro anni, a testimonianza di una fervida vena creativa restia ad issare bandiera bianca nei confronti dell’inesorabile trascorrere del tempo. Come di consueto, ci imbattiamo in tre quarti d’ora scarsi all’insegna del rock più energico, sanguigno e vitale, caratteristiche consolidate di una ricetta che funziona piuttosto bene da oltre trent’anni. La recente dipartita del chitarrista Dregen, coinvolto a tempo pieno nell’acclamata reunion dei Backyard Babies, non sembra aver incrinato le fondamenta di una backing band costantemente solida ed inappuntabile. Tocca al sostituto Rich Jones il compito di mantenere alto il voltaggio negli episodi contenuti in “Blackout States”, disco che si lascia alle spalle gran parte dell’eclettismo artistico musicato sul precedente “Horns And Halos”, per riabbracciare un approccio compositivo più rude e diretto. La partenza viene affidata all’arrembante “This Ain’t No Love Song”, stordente manrovescio punk che collima in un chorus roboante e sovversivo. La straordinaria tensione appena accumulata viene stemperata dal tiepido incedere di “Old King’s Road”, purtroppo incapace di catturare la nostra attenzione, a causa di un chorus tutt’altro che irresistibile. Di tutt’altra pasta risulta essere fatta “Goin’ Down With The Ship”, resa brillante da una melodia chitarristica semplice ma efficace, ponendosi come uno sfavillante preludio ad un bridge esaltante, che decolla in un assordante ritornello da stadio. “Keep Your Eye On You” e “Permanent Youth” vengono avvolte da un groove notturno e malinconico, nelle quali il protagonista sfodera una prestazione vocale intensa, suadente e passionale. “The Bastard’s Bash” appare invece come un curioso esperimento generato in laboratorio, che unisce il DNA infetto dei Mötley Crüe di “Generation Swine” con le trame oscure tessute dagli esordienti Bauhaus. Un filo di nostalgia pervade la struttura narrativa di “Good Old Bad Days”, briosa traccia che avrebbe potuto comparire in un qualsiasi vecchio LP degli Hanoi Rocks. Registriamo un’altra sensibile caduta di tono con “R.L.F.”, selvaggio ma innocuo punk rock, posto a cavallo tra Motörhead e Sex Pistols. Va decisamente meglio invece con l’evocativa “Under The Northern Lights”, efficace rilettura del vetusto punk britannico, depurato attraverso un mese trascorso in una clinica di disintossicazione. Il sipario cala per merito della trascinante “Walk Away”, pungente epilogo di un’opera che non deluderà di certo le aspettative dei numerosi fan di una delle ultime rockstar rimaste sul pianeta. Iconico.