7.5
- Band: MICHAEL SCHENKER
- Durata: 00:53:31
- Disponibile dal: 02/03/2018
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Non sono molti gli artisti che possono vantare nel loro curriculum di aver dato vita ad una formazione leggendaria, di aver contribuito con brani immortali alla consacrazione di almeno altre due band, di aver influenzato intere generazioni di musicisti e di essere annoverati tra i chitarristi più ammirati della sua generazione. Allo stesso modo, non capita tutti i giorni di ricevere l’offerta di entrare a far parte della band di Ozzy Osbourne, negli Aerosmith, nei Deep Purple e addirittura nei Rolling Stones. Ovviamente parliamo di Michael Schenker. Eppure, diciamoci la verità, il biondo chitarrista tedesco non ha raccolto nel corso degli anni quella celebrità che avrebbe meritato chiunque nei suoi panni. Perchè Michael è un artista difficile, che ha passato un periodo di buio assoluto, soccombendo ad alcune sue fragilità e fuggendo dai riflettori per gran parte della sua vita. Oggi, però, Schenker è un uomo diverso ed è pronto a riprendere in mano il suo passato, complice anche l’aiuto del colosso Nuclear Blast. Il Michael Schenker Fest doveva essere semplicemente un evento dal vivo, invece oggi ci troviamo fra le mani un disco di inediti, che vede affiancati al chitarrista non solo Steve Mann (chitarra, tastiera), Ted McKenna (batteria) e Chris Glen (basso), ma addirittura quattro cantanti, ovvero coloro che hanno accompagnato nel corso degli anni il buon Michael nella sua carriera solista. Parliamo di personaggi del calibro di Gary Barden, Graham Bonnet, Robin McAuley e Doogie White. Con queste premesse, Schenker realizza esattamente l’album che ci saremmo aspettati, ovvero un buonissimo concentrato di quanto già conosciuto nel sound del chitarrista, impreziosito da una saggia ed efficace gestione delle ugole d’oro a sua disposizione. Tranne in un paio di casi (il singolo “Warrior” e “The Last Supper”), ogni brano è affidato ad un solo cantante, a seconda del suo stile, con gli altri di supporto nei cori. Michael Schenker non è uno di quei chitarristi che vogliono necessariamente sfoggiare tecnica e virtuosismi: si concentra sulla scrittura, regalando assoli misurati ed efficaci, ma lasciando sempre in primo piano le canzoni. Così abbiamo Robin McAuley, con il suo timbro graffiato, a dare forza ai passaggi più energici dell’opener “Heart And Soul” e in “Time Knows When It’s Time”. Doogie White cala l’asso in uno dei brani migliori, “Take Me To The Church”, cavalcata di puro hard ‘n’ heavy con l’organo in primo piano; Graham Bonnet si muove sinuoso con classe nei passaggi più AOR, come nell’ottantiana “Night Moods”; mentre Gary Barden gigioneggia alla grande nelle composizioni dal piglio rock come la splendida “Messin’ Around”. Grandi sorprese non ce ne sono: Schenker rimane un chitarrista e compositore di razza, ma, ovviamente, i suoi capolavori sono altri. Nonostante questo, però, “Resurrection” rimane un’opera pienamente convincente, messa in piedi da veterani che conoscono perfettamente la materia e guidati da un gigante della storia del rock.