7.0
- Band: MINCING FURY
- Durata: 00:32:30
- Disponibile dal: /10/2010
- Etichetta:
- United Guttural
Con grandissima sorpresa per i cultori dell’underground più brutale della generazione di chi scrive o giù di lì (mi sto temibilmente dirigendo verso i trenta…), la seconda parte del 2010 ha segnato il ritorno di una delle etichette statunitensi più “sick”: la United Guttural. In coincidenza con questo felice evento vi è anche il ritorno su disco di uno dei migliori gruppi grind europei, i Mincing Fury And Guttural Clamour Of Queer Decay dalla Repubblica Ceca. Li avevamo lasciati, nel cuore del 2005, con “7”, edito per Bizzarre Leprous: si trattava di un platter veramente ottimo, in grado di contenere sia la tradizione del goregrind più zozzo tipico dell’Est del nostro Continente, sia le sperimentazioni più folli (arrangiamenti post-core/jazzati, uso di vocals avulse per il genere, drum pattern elaborati, l’inserimento di un corno inglese in una canzone…), sia una grande ricerca per una spiccata, valida e divertentissima personalità; per dirla brevemente, uno dei migliori dischi grind del Terzo Millennio. Cinque anni dopo, passati alcuni travagli, con una formazione finalmente stabile, riecco il quintetto ceco pronto a fare del suo meglio, pur con la pesante eredità di “7” sulle spalle. Missione parzialmente compiuta. Ma, sia chiaro, in questo caso, quel “parzialmente” ha una forte connotazione positiva: infatti, il loro nuovo full-length, “Devolution”, resta un disco competitivo su ogni fronte, un album ben composto, ben arrangiato, con forse la migliore produzione di sempre per i Mincing Fury (merito degli sconosciuti, almeno al sottoscritto, Studio Davos di Vyskov), divertente e divertito, in grado di non far rimpiangere il già citato “7”. Con una criptica copertina, in cui un noto quadro dell’Ottocento francese viene, per l’occasione, stuprato in modo da venire incontro al concept del disco – per l’appunto, l’illusione umana del progresso che porta alla devoluzione delle nostre menti e della morale condivisa – un colorato e “vissuto” lay out (assolutamente da sfogliare!), una saggia e varia, ma ben equilibrata, dose delle più svariate intro, il nuovo disco dei Mincing Fury si assesta su standard elevatissimi per quanto riguarda l’underground grind: ancora una volta, infatti, prepotente, emerge la personalità della band, fatta di ricerca, sperimentazione, momenti folli e sarcastici, uniti ad un grande senso dell’ironia a braccetto con la primigenia cattiveria del grindcore. Per certi versi, più d’una volta, si ha l’impressione di sentire i mai troppo lodati Insect Warfare, ma arricchiti ora di voci gutturali inalate, in tipica tradizione goregrind “made in Czech”, ora di breakdowns dal sapore vagamente Waking The Cadaver (presa in giro, tributo o tentativo d’allargare il pubblico?), ora d’arrangiamenti/assoli tratti dall’hard rock e dal vecchio heavy metal (stupenda la coppia centrale di song quali “Guys Who Are Falling In The End” e “Machinka”, infarcite di soluzioni chitarristiche fra Guns’n’Roses e Rage Against The Machine!), nonchè di momenti riecheggianti il death metal degli anni Novanta. Sono, comunque, solamente sette la nuove canzoni (anzi, sei + cover dei CBT in chiusura del disco… niente male, tra l’altro, considerando che Reef e Milcunt non usano alcun effetto vocale!), alle quali si uniscono ben otto tracce provenienti dal passato dei Mincing Fury ri-registrate e ri-arrangiate con la line up degli ultimi cinque-sei anni. Risultato sicuramente eccellente (in particolare per “Blind”, palesissima presa per il culo ai Korn, e per la mitica “Shit Song”), ma, forse, i loro fan – chi scrive per primo – avrebbero gradito sentire qualcosa in più di nuovo. Ciò non toglie che i Mincing Fury siano l’apice dell’underground grind europeo, in grado anche di competere a livello mondiale, già da diversi anni: il che, con questo disco, non è una sorpresa, bensì ne è la conferma. Se sentite che tutto questo è nelle vostre corde, dateci sotto e supportatelo!