7.5
- Band: MINISTRY
- Durata: 00:50:02
- Disponibile dal: 30/03/2012
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Signore e signori, ecco a voi i Ministry più incazzati, pesanti e oltranzisti che avete mai sentito. Già dalla copertina di “Relapse” si evince subito che questo disco è realizzato all’insegna di una cosa sola, ovvero l’eccesso più sfrenato, sotto qualunque punto di vista possibile: lirico, sonoro, concettuale… Tutto. Totale. “Relapse”, anche se sempre affetto – come i suoi recenti precedessori – dalla strana sindrome del “fanculo tutto e tutti, incluso il nostro passato”, è talmente estremo e debordante che anche il concetto stesso del “tanti muscoli e poco cervello” (che non pochi tenderanno, non senza torti, ad affibbiare al disco) diviene inapplicabile, e viene spazzato via da una guerra nucleare sonica totale, destinata a fare una cosa sola: tappare ogni bocca con una valanga di adrenalina metallica e ignoranza post-industriale assolutamente letali. Solo un uomo come Al Jourgensen poteva concepire una distruzione sonica tale. Già dalla dipartita del suo storico collaboratore Paul Barker, ovvero da quell’ incredibile “Houses Of the Molè” del 2004 che aveva messo i Ministry sul binario inedito dello speed metal, Jourgensen aveva chiaramente fatto capire che i Ministry erano una band animata da intenti diversi e del tutto nuovi rispetto al loro glorioso passato prettamente industrial. Synth e tastiere sempre meno predomaninanti, chitarre speed-thrash sempre più distorte lanciate a velocità supersonica, beats e drum machines non più usate per creare ritmi e groove ma per ereggere un impianto percussivo e propulsivo hardcore devastante, dai bpm del tutto incontrollati. Insomma, sempre meno electro e industrial e sempre più punk, hardcore e speed metal. “Relapse” in questo sembra il culmine del sogno di Jourgensen: un album in cui hard rock anfetaminico, punk-hardcore da barricata e thrash metal slayeriano ereggono un nuovo manifesto metallico a illustrazione della sua esageratissima personalità. Un nuovo dito medio rivolto a tutto e tutti da parte di un uomo che in vita sua le ha viste tutte. “Relapse” ha un solo messaggio: “Io sono Al Jourgensen, questi sono i miei Ministry, e siamo di nuovo qui, perchè questa band ha uno scopo solo: dirvi tutto ciò di questo mondo che io odio fin nel più profondo della mia anima”. Ci aveva provato lo Zio Al a mettere i Ministry a dormire per sempre dopo la fine del governo Bush da lui tanto odiato e che lo aveva motivato a creare ben tre album mono-concettuali, e invece il nostro illustrissimo amico deve essersi accorto che Bush aveva solo occupato tanto del suo odio, ma che, alzandosi la mattina nel presente post-Bush, egli trovava ancora tante, ma tante cose del mondo che lo facevano vomitare. “Relapse” le illustra tutte, dall’odio per l’industria discografica (da panico l’intermezzo di “Ghouldiggers” in cui Jourgensen chiama il suo manager e la segretaria di questo risponde: “Ha detto che glielo posso passare solo quando lei sarà morto”) a quello per le forze dell’ordine, per poi passare a quello per tutti i governi centralizzati, le banche e le multinazionali, il consumismo, il narcotraffico, e la speculazione sulle sostanze stupefacenti. E non stiamo parlando di uno sprovveduto qualunque, ma di un veterano tutt’altro che scemo, che sta sulle scene da trent’anni e che le ha viste tutte, anche la morte dritta in faccia. Insomma, a livello lirico tutto è argomentato benissimo e ciò da una spinta inarrestabile al disco già solo a livello concettuale, rinforzato ovviamente dalla solita verve, paraculaggine, ironia e sarcasmo che solo un personaggio come Jourgensen può imbastire. A cotanto delirio lirico, sempre a metà strada tra il rude, il comico e il tragico, aggiungete il suo stile vocale rasposo e avvelenato del tutto inimitabile e una sezione strumentale squassante e il prodotto finale che è “Relapse” comincerà a prendere forma nella vostra testa senza tanti giri ulteriori di parole, e il semplice concetto di questo disco già vi farà male ancor prima dell’ascolto. Musicalmente poi siamo al collasso quasi totale delle decenza musicale e di qualunque senso del limite. Provate a sentire “United Forces” e “Double Tap” e a cercare di decifrare il numero di bpm del doppio pedale. Non ci riuscirete, ma non riuscirete neanche a negare che 400 sembra un numero del tutto realistico. Stessa cosa vale per le chitarre. Immaginate Kerry King strafatto di anfetamine e avrete una idea di che razza di pezzi possano essere le supersoniche e devastanti “Free Fall”, “Git Up Get Out ‘n Vote”, o la title track. Altri momenti sempre deliranti ma più “festaioli” del disco sono pura goduria hard-rock/cyberpunk, come nel caso di “Weekend Warrior” (gli ZZ Top fusi con Terminator, pezzo migliore del disco), il glam apocalittico di “Kleptocracy”, del singolo “99%” (in cui Jourgensen è riuscito a sfanculare addirittura il movimento Occupy) o la conclusiva “Bloodlust”, che ci riporta in un momento isolato del disco direttamente ai tempi di “The Mind Is A Terrible Thing To Taste”. Insomma, in poche parole, “Relapse” è l’album più incazzato che sentirete quest’anno. Ben tornato Zio Al, ci sei mancato.