7.5
- Band: MIRRORS FOR PSYCHIC WARFARE
- Durata: 00:40:29
- Disponibile dal: 28/09/2018
- Etichetta:
- Neurot Recordings
- Distributore: Goodfellas
Spotify:
Apple Music:
Impossibile, nel panorama metal, non voler bene a Scott Kelly. Il chitarrista di Oakland è un personaggio che continua a provocare un certo atteggiamento affettivo di difficile abbandono, come accade difficilmente con coloro che hanno segnato inevitabilmente i traguardi di un genere come quelli del post-metal e hanno portato un filone successivo ad avere come riferimento certi caratteri specifici. Scott Kelly non si è però mai fermato al solo nome Neurosis e ad un solo genere di riferimento, ma ha sempre continuato a sfornare produzioni sempre nuove, sia a carattere solista sia con diversi ensemble. Uno di questi è l’accoppiata con Sanford Parker dei Buried At The Sea (già insieme a Kelly con i Correction House), sotto il monicker Mirrors For Psychic Warfare, con cui si era pubblicato il primo album omonimo nel 2016. Come già avuto modo di ascoltare in anteprima su Metalitalia.com, il secondo lavoro del duo americano si affaccia ad un concetto di musica più ampio ed ‘affabile’ (se mai questo termine si possa usare in un ambito del noise/industrial) rispetto al precedente effluvio sonoro del primo lavoro, ancora incentrato più su un’idea di suono che su una effettiva capacità di produzione di materiale efficace e maturo. Con “I See What I Became” invece si ha a che fare con un lavoro che mostra i suoi lati più interessanti – di intenzione – uniti con una potenza sonora espressa in brani di impatto molto più ipnotico ed intenso, grazie ad un groove più esplicito e ad una sonorità più coesa. Con “Tomb Puncher” si nota infatti un progredire di intenti più vicino a certi The Body più contemporanei e diretti, in cui le distorsioni noise riescono a fornire un soundscape supportato effettivamente da una buona efficacia ritmica, rendendo il tutto meno divagatorio e più diretto, omogeneo e mai eccessivamente ridondante. Naturalmente l’apparato sulfureo di synth e drum machine mantiene in tutto e per tutto la capacità narrativa e di setting abrasivo e incombente sullo sfondo, non allontanandosi mai dalla comunicazione di un sentimento opprimente e senza speranza. “Flat Rats In The Alley” non può che rappresentare – in uno dei modi più convincenti dell’intero lavoro – questa considerazione: alienarsi completamente in questa via scura, che non arriva a nulla, che non parte da nulla, dove trovarsi nel mezzo, senza indicazioni, strutture, punti di riferimento, circondati da suoni ipnotici e industriali. Strade perdute, diceva qualcuno al cinema. E non è forse un caso che secondo queste suggestioni si ritorni a tonalità proprie di un Lynch, o di un Reznor, orientati ad una narrazione sonora plumbea, legata al percorrere strade notturne e desertiche, come quella della straniante “Crooked Teeth”, singolo dell’album ed accompagnata da un video che sembra ancora non essere uscito dal bianco e nero deprimente e visionario di certi anni Novanta, ma pur sempre capace di offrire un sound piacevolmente autentico e autoritario. Perdersi in questi territori, così sulfurei e familiari, in compagnia di Kelly e Parker, sembra quasi un ritorno a casa.