8.5
- Band: MISÞYRMING
- Durata: 00:46:16
- Disponibile dal: 24/05/2019
- Etichetta:
- Norma Evangelium Diaboli
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Islanda, giorni nostri. Nuove pagine di storia del black metal vengono scritte alla luce di bagliori che, analogamente a quelli comparsi nei cieli scandinavi della prima metà dei Nineties, sembrano infondere energie sconosciute al genere e ai suoi interpreti. Un movimento artistico la cui portata, già testimoniata dalle recenti prove di Svartidauði e Sinmara, trova nel secondo, agognato full-length dei Misþyrming un suggello di rara profondità e compiutezza, stabilendo un parallelismo concreto con quello che per molti è (e resterà sempre) un periodo storico irripetibile.
Otto brani in cui la visione musicale del quartetto di Reykjavík viene messa perfettamente a fuoco e cristallizzata in un suono refrattario alle facili catalogazioni, intenzionato a muoversi tra scenari dalla straordinaria forza evocativa e cinetica senza aderire pedissequamente ai canoni di ciò che il pubblico è solito aspettarsi dal metallo nero di questa regione. Un percorso iniziatico che, riprendendo il sentiero del fortunato esordio “Söngvar elds og óreiðu”, lascia ai suddetti colleghi il compito di esplorare geometrie oblique e dissonanze crepuscolari, abbandonandosi agli impulsi di un’emotività visionaria e tumultuosa. Una fortissima spinta interiore guida l’intero “Algleymi”, disco che scava nel solco della melodia per esprimersi e veicolare la rinnovata intraprendenza del progetto. L’opener “Orgia” è assolutamente esaltante, e con i suoi crescendo strumentali protesi verso gli astri – doppiati dallo screaming declamatorio di D.G. – tracima in un’enfasi che la successiva “Með svipur á lofti” porta su livelli di intensità incalcolabili, con le chitarre a dipingere arabeschi armoniosi e a regalare continui colpi di scena (basti sentire la parentesi acid rock nel finale di brano). Un discorso che va applicandosi anche al prosieguo della tracklist, nel quale l’approccio ‘free’ dei giovani islandesi non diventa mai sinonimo di sterile eccentricità ma, al contrario, di talento pragmatico volto innanzitutto alla conquista dei sentimenti altrui, tra cavalcate di black metal moderno (“Allt sem eitt sinn blómstraði”, la titletrack) e digressioni dal sapore folk/rock (“Ísland, steingelda krummaskuð”, “Hælið”).
Librandosi sulle ali di riff ascetici e di una sezione ritmica viva e pulsante, l’opera si configura quindi come uno dei momenti topici dell’anno e della recente cronaca del genere; un attestato di ingegno e freschezza compositiva il cui battito è pari a quello di un cuore selvaggio. Assolutamente imperdibile.