7.5
- Band: MONO
- Durata: 48:10
- Disponibile dal: 28/10/2014
- Etichetta:
- Pelagic Records
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Si certo. Giocare sugli ossimori non è più particolarmente originale come cosa: il gioco dei contrari e dell’effetto spiazzante dei contrasti presuppone molto spesso effluvi di banalità e standard, triti e ritriti, soprattutto quando si parla di Post-Rock le ormai consuete dinamiche arpeggio ed esplosione che probabilmente hanno già avuto le loro summe imprescindibili nelle strutture dei Mogwai, nelle melodie arpeggiate degli Explosions In The Sky, o forse nella timbrica di certi Godspeed You! Black Emperor. Ma quando si parla di Mono nessuno prevede alcunchè di diverso da questi parametri, ben consci del fatto che il quartetto giapponese ha fatto dello standard del post-rock orchestrale la sua fede assoluta, e ben consci del fatto che i Mono sono tra coloro che l’hanno interpretata con cuore e passione venerabile, facendosi spazio a colpi di carezze tra i supporters del genere. Implacabili e fluttuanti le melodie dei Mono riescono a tornare in sede di composizione e, nonostante siano fuoriuscite nello stesso momento, esse non possono fare a meno – a detta dello stesso Taka – di rientrare in due album separati, venendo partorite concettualmente come vere e proprie entità complementari. I giochi di luce ed ombra, di arpeggio e di schitarrata pesante, di quiete e di tempesta sono tenuti sempre in correlazione indivisibile. Ed è per questo che l’ultima alba si presenta separata ma a braccetto coi i raggi di tenebra targati Mono. “Last Dawn” è infatti costellato di arpeggi post-rock fluttuanti conditi da crescendo orchestrali di magistrale fattura, come da perfetta tradizione Mono, pur senza mai sfociare nell’abisso, ma rimanendone sempre in uno stato di tensione perpetua. “Lands Between Tides Glory” apre in perfetto stile l’album “luminoso”, nella sua dozzina di minuti di armonie romantiche e suadenti che affrontano l’abisso come se fossero un viandante di scuola Friedrich, per poi abbandonarsi in un outro di piano e archi. La tensione rimane sempre fluttuante e incombente in “Kanata”, come una nuvola che oscura i raggi di questo ultimo sole, senza però mai trasformarsi in burrasca. E il “Cyclone” che si affaccia lontano sulla terra giapponese viene presagito da un perfetto arpeggio da colonna sonora da film post-apocalittico dove però la speranza non se ne è ancora andata via. Il riverbero, delay e chorus che giocano nelle canoniche plettrate di Goto e Suematsu creano quel marchio di intensità da battaglia tra luce ed ombra che ha reso famose le ormai coordinate del sound Mono. “Elysian Castles”, “Where We Begin” (magistrale traccia presentata come anteprima) sono il perfetto contrappunto ad un momento cruciale di una saga fantasy o di una storia d’amore eroico ed assoluto, fiere e indomite nel suo scontro con la realtà, standard che ormai la band ha imparato a comporre, e a riproporre in tutta la loro perfezione orientale in sede live, eppure non si riesce mai a storcere il naso o a premere skip nel lettore, nonostante tutto questo lo si sia già sentito, risentito ed imparato a memoria. Non importa. Nel momento in cui ci si accorge che ormai si è dentro ad un altro lavoro dei Mono non si può che arrivare fino alla fine, perchè quel tipo di giro di accordi e pattern ritmico è ancora una volta fatto alla perfezione. E quando ancora abbiamo il finale di “Where We Begin” sulla nostra pelle (d’oca) ci accorgiamo che il tema portante di “The Last Dawn” si conclude nella title-track finale. Solito arpeggio. Solito giro. Violoncello. Reminescenze di Beethoven. Chitarra canonica post-rock che entra e se ne va. Diminuendo. Crescendo. Piatti. Apertura. Clichè post-rock. Abbandono. Nulla di nuovo. Nulla di diverso da “Hymn To The Immortal Wind” o dall’ultimo “For My Parents”, ma come al solito magnificamente passionale e Romantico. La grande maestria di compositori come i giapponesi Suematsu-Goto-Kunishi-Takada farà ancora una volta breccia nel cuore di ogni amante della musica che riesce ancora ad emozionare i lati più sensibili dell’Holderlin che c’è in ogni ascoltatore.