MONOLITHE – Black Hole District

Pubblicato il 09/11/2024 da
voto
7.5
  • Band: MONOLITHE
  • Durata: 00:55:00
  • Disponibile dal: 15/11/2024
  • Etichetta:
  • Hammerheart Records

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Giungono all’agognato traguardo del decimo album i francesi Monolithe, ormai assidui ed indefessi frequentatori delle nostre pagine web, realtà di accresciuto e consolidato valore all’interno di una scena, quella doom metal, quanto mai florida e pregna di qualità, sia che si tratti di mostri sacri e pionieri del genere, sia che si rivolga lo sguardo a novità dell’ultim’ora.
Sylvain Bégot e compagni fanno parte delle band a metà strada tra le suddette categorie, ormai certo più vicini al concetto di ‘gruppo storico’ che a quello di ‘formazione novella’, ma comunque ancora prontissimi a rinnovarsi e a mettere sul piatto nuove idee e nuove storie, sempre legate, però, a quel mondo fantascientifico e spaziale che hanno ormai esplorato in lungo e in largo, a partire dalla loro egregia tetralogia iniziale (la saga del Grande Orologiaio), per continuare poi attraverso gli esemplari capitoli successivi; tra essi spiccano sicuramente “Zeta Reticuli” e “Okta Khora” anche se, a ben riascoltarlo, il precedente e nono full-length “Kosmodrom” continua ad avere tutte le carte in regola per essere considerato il loro miglior lavoro, ottima ed originale espressione di doom metal progressivo e atmosferico.
Con il nuovo “Black Hole District”, difatti, seppur i Monolithe sfornino l’ennesimo disco di livello assoluto, siamo costretti a testimoniare un leggero passo indietro qualitativo, di sviluppo di idee e di ispirazione, non particolarmente eccezionali come le avevamo invece trovate in quasi tutti i loro lavori post-tetralogia. Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto la line-up dei Monolithe è cambiata molto rispetto alla pubblicazione di “Kosmodrom”: via il pregevole bassista Olivier Defives, via il cantante/chitarrista Rémi Brochard e via il tastierista Matthieu Marchand; al loro posto dentro i nuovissimi Axel Hurard alle tastiere, Vincent Rémon al basso e soprattutto il nuovo cantante Quentin Verdier, in grado di proporsi in veste di growler (immancabile, nel doom dei Monolithe) ma anche in quella di cantante pulito, con un timbro che a tratti ricorda il Vintersorg più epico e il Devin Townsend più controllato, oppure addirittura il nostro Davide Straccione degli Shores Of Null.
Tale nuovo ingresso ed il suo utilizzo permettono al sestetto parigino, per il resto completato dai soliti Bégot e Blin alle chitarre e da Thibault Faucher alla batteria, di spaziare maggiormente su tonalità e atmosfere diverse, a dire il vero non sempre rendendosi accattivanti quanto vorrebbero. Insomma, la presenza e le doti canore di Verdier sono sicuramente da bilanciare meglio in futuro.
La scelta del concept album, poi, non è chiaramente nuova per i Monolithe, anzi: Sylvain Bégot compone quasi esclusivamente album narranti storie e lo fa mettendosi continuamente in sfida con se stesso; questa volta, per il lavoro numero dieci, il leader della band ha scelto di raccontare una storia sci-fi asimoviana, dark e molto drammatica, definendola in stile tech-noir, dove un umano si scopre androide proprio nel momento in cui l’uscita della Luna dalla propria orbita per precipitare sulla Terra sta causando cataclismi inumani. Per fare ciò, ecco che i Monolithe si inventano la formula delle dieci tracce (ovviamente!) alternando per cinque volte un intermezzo da un minuto ad un brano completo da dieci minuti. La follia più geniale, come al solito.
Il doom metal progressivo che siamo tanto abituati ad aspettarci dai nostri cugini d’Oltralpe, nel corso degli anni diventato sempre più accostabile ad un doom-gothic metal ad ampio respiro, lontano dal funeral doom catacombale degli esordi, diventa quindi ancora più dinamico e ricco di sfumature, proponendo a volte evidenti richiami all’operato di gruppi quali My Dying Bride e Amorphis, soprattutto per il tenore di alcuni riff e di diversi passaggi alle tastiere.
Le cinque tracce-intermezzo – l’intro “They Wake Up At Dusk”, “Elusive Whispers”, “Suspicion”, “Benefit Or Hazard” e “Moonfall” – se all’interno del racconto possono avere un senso chiaro, prese al di fuori di esso dicono davvero poco e, in un certo senso, risultano molto banali, semplici minuti rumoristici, di crescendo di synth e tastiere, voci recitate e suoni alienanti; fasi che, anche proprio per far comprendere meglio la storia, potevano essere gestite meglio.
In compenso, però, i restanti cinque brani, ovvero cinquanta minuti di musica, fanno risalire vertiginosamente le quotazioni di “Black Hole District”, piccoli capolavori di epos drammatica e sensoriale.
Si parte con “Sentience Amidst The Lights”, che traghetta l’ascoltatore nel nuovo approccio Monolithe e alla conoscenza del neo-entrato Verdier dietro al microfono, un brano che piace ma non esalta. Meglio, e più carico di idee motivanti, il seguente “To Wander The Labyrinth”, con una bella linea di basso a portare il pezzo verso lidi prog, dove assoli sognanti, voci su vari timbri ed un riffing costantemente dinamico ci strappano più di un sorriso.
Si arriva poi all’ottimo “Unveiling The Illusion”, a tutti gli effetti il brano più movimentato e aggressivo mai scritto dalla band, un continuo saliscendi di emozioni e cambi di tempo, sequenze che crescono inesorabilmente con gli ascolti, e che finiscono per mettere un po’ in penombra quello che risulta l’episodio invece scelto per spezzare il ghiaccio della pubblicazione, ovvero il singolo “On The Run To Nowhere”, il quale decolla immediatamente con un riff-omaggio ai My Dying Bride per poi divincolarsi agile su di un andamento sì marziale ma non troppo rigido e che, lungo tutti i dieci minuti, mantiene altissima l’attenzione del fruitore, finalmente lanciando Verdier in un ritornello pulito riuscito molto bene.
Infine, ecco la conclusione affidata a “Those Moments Lost In Time”, diciamo pure l’highlight del disco, non tanto per le trovate compositive, bensì per l’appeal emotivo e malinconico che i Monolithe riversano in esso, creando alcuni passaggi davvero evocativi e bellissimi.
Cosa dire, dunque, a chiosa di questa recensione? Chi ama i Monolithe in ogni sua versione con pochi dubbi amerà anche questo “Black Hole District”, ennesima emanazione di una band viva sotto ogni aspetto, ennesima faccia di una medaglia sempre imprevedibile e cangiante.
Chiaro, se paragonato però a quel diamante scolpito di “Kosmodrom”, il passo indietro è inevitabile. Non resta che invitarvi all’ascolto e verificare voi stessi cosa ne pensate. Noi intanto plaudiamo ai Monolithe un’altra volta!

 

TRACKLIST

  1. They Wake Up At Dusk
  2. Sentience Amidst The Lights
  3. Elusive Whispers
  4. To Wander The Labyrinth
  5. Suspicion
  6. Unveiling The Illusion
  7. Benefit Or Hazard
  8. On The Run To Nowhere
  9. Moonfall
  10. Those Moments Lost In Time
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