MONOLITHE – Nebula Septem

Pubblicato il 16/01/2018 da
voto
7.5
  • Band: MONOLITHE
  • Durata: 00:49:00
  • Disponibile dal: 26/01/2018
  • Etichetta:
  • Les Acteurs De L'Ombre Productions

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Sette è un numero particolare, dai molteplici ed archetipali significati, riconosciuto in quanto tale da svariate discipline mistiche, esoteriche e cabalistiche; simbolo di eternità, globalità ed universalità, sette sono i chakra, sette sono gli Arcangeli, sette i metalli simbolici alchemici, sette le Meraviglie del Mondo, sette i bracci del Menorah e sette pure sono i nani di Biancaneve, a ben vedere. Così come sono sette le nostre amate note musicali. E chi meglio dei francesi Monolithe, giunti al loro settimo full-length album e appassionati di sfide compositive cervellotiche, potevano divertirsi a scrivere un album con le seguenti caratteristiche: settimo lavoro, appunto, composto da sette canzoni di sette-minuti-e-zero-zero ciascuna, con titoli aventi per iniziale le prime sette lettere dell’alfabeto e scritte ognuna in tonalità di una nota musicale, partendo dal do e giungendo al si. Follia, vi chiederete voi? Forse, ma certo non per la band guidata da Sylvain Bégot, la cui storia si dipana costantemente imperniata su metodi compositivi alquanto anticonformisti: dai primi quattro dischi presentanti tutti una singola traccia di oltre cinquanta minuti e narranti un’odissea spaziale metafisica, ai successivi e recenti “Epsilon Aurigae” e “Zeta Reticuli”, aventi ciascuno tre tracce di quindici minuti spaccati, la compagine parigina ha sempre mostrato un amore viscerale per tali sfide impossibili, a discapito del sempre più prepotente allontanamento dal monolitico funeral doom degli esordi, ormai tramutatosi in un doom-gothic-death metal carico di dinamismo, groove e – almeno questa è rimasta – una marcata vena psichedelica fornita dagli arrangiamenti di tastiera e da diverse partiture di chitarra ipnotiche e ripetitive. Un’ulteriore piccola, grande svolta, oltre a quella relativa al dimezzamento delle durate dei brani, la troviamo dietro al microfono, dove Sébastien Pierre degli Enshine prende momentaneamente il posto dello storico growler Richard Loudin, per un cambio d’approccio vocale non drastico ma abbastanza evidente: se il timbro resta comunque growl e cupo, le linee vocali si sono invece fatte più impellenti e frenetiche, quasi marziali, completamente staccate dalla lentezza e solennità di quelle dell’ormai ex-vocalist. Pierre, però, ha deciso di non proseguire la sua collaborazione con i Monolithe, che si avvarranno in futuro della voce di Rémi Brochard, già chitarrista live, ora promosso a frontman. “Nebula Septem” è chiaramente ancora più accessibile dei due ultimi dischi citati sopra, già di per loro abbastanza ascoltabili anche da chi non è solito a sonorità funeral e simili: si voglia per il minutaggio contenuto, si voglia per il suddetto dinamismo, le melodie epiche ed enfatiche dei Monolithe prendono vita in maniera subitanea, conducendo l’ascoltatore attraverso uno spazio interstellare vivo e pulsante, armonioso, terrificante ma affascinante, dove il Vuoto cosmico può inglobare e divorare senza pietà alcuna; inoltre, più si procede lungo la tracklist preparata dai Nostri, più si udranno marcate le influenze elettroniche che paiono irretire sempre più la formazione francese. Non sentiamo quasi mai voci pulite e non c’è l’attitudine hard-rock della grandiosa “The Barren Depths”, ultima traccia di “Zeta Reticuli”, ma allo stesso modo sperimentale risulta essere la conclusiva strumentale “Gravity Flood”, che si compone di una lunga prima parte debitrice del synth pop/new wave depechemodiano per poi sbocciare in un gothic metal venato di doom dalle malinconiche atmosfere. Il disco risulta compatto e studiato nei minimi particolari, soprattutto per donare all’ascolto d’insieme un mood cangiante ma in modo subdolo, effettuando piccole e progressive variazioni d’approccio man mano che si avanza nel groviglio di tracce. Tracce che possono essere di livello medio-elevato, come nel caso dell’opener “Anechoic Aberration”, oppure dei piccoli capolavori d’epos doom all’altezza di “Delta Scuti” e “Fathom The Deep”, vero gioiellino del platter. Un ottimo ritorno, dunque, per un gruppo negli ultimi tempi altamente prolifico ed estraneo alla paura di modificare la propria attitudine per mantenere una coerenza di facciata che, a conti fatti, riesce a conservare anche con le notevoli concessioni alla fruibilità a cui sta cedendo sempre più velocemente. E coraggiosamente. Fin qui, una carriera da incorniciare.

TRACKLIST

  1. Anechoic Aberration
  2. Burst In The Event Horizon
  3. Coil Shaped Volutions
  4. Delta Scuti
  5. Engineering The Rip
  6. Fathom The Deep
  7. Gravity Flood
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