8.0
- Band: MONOLITHE
- Durata: 00:45:00
- Disponibile dal: 08/07/2016
- Etichetta:
- Debemur Morti
- Distributore: Masterpiece
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Dovevano morire subito dopo la pubblicazione di “Monolithe IV”, i francesi Monolithe. Sylvain Bégot aveva deciso così, tanto tempo prima: terminare il concept sulle origini del cosmo in quattro lavori composti da una singola traccia di funeral doom metal dalle svariate propaggini melodiche e poi chiudere baracca e burattini e passare ad altro. E invece no, proprio no. E meno male, diremmo noi! Perchè i Monolithe, ora più che mai concepiti come una band solida e democratica, non più una quasi one-man-band, hanno fortunatamente cambiato idea rientrando immediatamente sulle scene prima con il validissimo – e forse da noi un po’ sottovalutato – “Epsilon Aurigae” ed ora facendo atterrare il loro granitico pugno sulle nostre teste con il nuovo “Zeta Reticuli”, con pochi dubbi la loro opera più convincente e vincente. La formula è cambiata, ma l’ossessione di Bégot per le strutture compositive ben definite e aritmetiche è rimasta: sia “Epsilon Aurigae” che “Zeta Reticuli” si formano infatti di tre tracce ciascuno duranti tutte quindici minuti spaccati, esercizio di auto-limitazione e incanalamento artistico tra il masochista e lo scientifico, ma che affascina e dona connotazioni sinistre alla musica della band. L’ispirazione derivata dal film “2001 – Odissea Nello Spazio” si è un attimo diradata, perchè “Zeta Reticuli” si distacca assai dal concetto di funeral doom, andando tranquillamente a lambire lidi più solari, groovy, epici e possenti, dotandosi di una dinamicità quasi grind per un disco doom (pesate questo paradosso, mi raccomando, quando all’ascolto) e infilando una pletora di melodie e assoli chitarristici da far paura; senza dimenticare, poi, i rari stacchi ambient-spaziali-subacquei e una psichedelia pressante, ottenuta attraverso tastiere a tappeto e reiterati passaggi di chitarra. Tre tracce che si sviluppano in un crescendo enfatico di vivacità e aggressione, partendo dalla più cupa e gutturale “Ecumenopolis”, passando per la strumentale “TMA-1” (in “Epsilon Aurigae” era presente il suo negativo binario, “TMA-0”), roboante miscuglio di doom avventuroso, fino a giungere alla sorpresa finale di “The Barren Depths”, in cui, al posto del growl catacombale di Richard Loudin, troviamo la timbrica lievemente roca ma pulita dell’ospite Guyom Pavesi, che piazza il colpo di classe animando il pezzo con linee vocali (cesellate su strutture hard rock!) orecchiabili manco avessimo di fronte gli Hardcore Superstar al rallentatore. Una produzione grassa-senza-esagerare, pulita il giusto, un artwork a tema con il concept della band, un afflato atmosferico ottimo ma con ancora margini di miglioramento (le influenze ambient potrebbero prendere maggior piede per riempire qualche sequenza leggermente attaccata dalla noia, ad esempio)…questi sono gli elementi di contorno che fanno massa e ci convincono del tutto nell’assegnare a “Zeta Reticuli” un meritatissimo otto pieno. Un lavoro doom metal che può tranquillamente piacere un po’ a tutti – ma non per questo sdoganabile ai richiami della commerciabilità – e che non annoia mai. Bravissimi.