7.5
- Band: MONSTER MAGNET
- Durata: 50:38
- Disponibile dal: 23/03/2018
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
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“My revolution is dead / And I’ll go lay in my bed“. Arriva il momento in cui si può osannare il ritorno alla semplicità originaria, alle origini di un genere, alla efficacia della sua continua produzione musicale. Almeno questo è quanto riguarda le band come i Monster Magnet, baluardi di un’attitudine, più che di un genere. Arriva anche il momento storico in cui in molti si guardano all’indietro e riscoprono nel vero rock’n’roll la baldracca più abusata e allo stesso tempo l’amante più sensuale della musica contemporanea. Nella collisione dei momenti arriva “Mindfucker”, l’album che riporta Wyndorf e soci alle tonalità più dirette e secche di un fare musica come una volta. E non solo perché si fanno le cover di Robert Calvert, ma proprio perché più si invecchia e più si vuole far valere il vecchio, sano, rock’n’roll. Puro. Incontaminato. In casi come questo sembra proprio che si abbia ragione. “Mindfucker” è un pezzo potente, ruvido, talmente facile che solo una band di classe come i Monster Magnet poteva rendere così cazzuto. Sentire i riff di “When The Hammer Comes Down” vuole anche dire che le cose – pur non essendo più le stesse di “Powertrip” o degli episodi più psichedelici e fattoni di “Dopes To Infinity” – sono ancora al loro giusto posto: supernova di distorsioni, ritmiche tirate, vocals ruvide e grezze. Eh si, poi Dave Wyndorf arranca in “Want Some” ma tutto sommato a nessuno frega niente, quando il groove e il pezzo funzionano benissimo così, e soprattutto quando poco dopo la sua voce diventa quella di “Brainwashed”, proseguendo quel lavaggio celebrale tanto caro al tema del disco, con un proto-punk smodato e alcolico, degno membro degli Stooges e degli MC5. Il mastermind dei Monster Magnet non si risparmia neanche stavolta e fa valere le buonissime premesse di forma che erano state indicate negli ultimi due lavori di remix e ricomposizione e negli ultimi live. Non si risparmia nemmeno di cantare di essere un dio cavalcante fiumi di fuoco da propiziarsi, da incolpare e con cui prendersela se non si ha il permesso di farsi una cavalcata sugli stessi fiumi incandescenti. Dice Wyndorf: “I Magnet non sono tipi religiosi, davvero, ma ci piace buttar fuori il fuoco dell’inferno quando ci riesce. In più è divertente cantare I’m Godddddd! And I’m riding a river of flame! Dovreste provarci!”. Il lupo Wydorf perde il pelo, dunque, ma non il vizio e ancora una volta riesce a sputar fuori una decina di brani che possono ben essere, oggi, considerati come ambiti tasselli di una discografia degna di nota. L’undicesimo lavoro della band del New Jersey è decisamente un buco temporale in cui buttarsi dentro senza troppe domande, con un vecchio chiodo come tuta spaziale e un paio di vecchi riff come guida.