7.5
- Band: MOONSPELL
- Durata: 00:52:24
- Disponibile dal: 26/02/2021
- Etichetta:
- Napalm Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
In quella pericolosa deriva mordi-e-fuggi tipica della società contemporanea e, fatalmente, del mondo culturale, a volte finiscono per essere stritolate nel mezzo anche le discografie di band rinomate e dal curriculum solido come il granito. Ecco allora che pure per una band come i Moonspell, vuoi anche per comprensibili operazioni amarcord messe in atto dagli stessi autori, lo sguardo cade sovente più sul passato remoto che sul presente o comunque un’attualità recente. Come per tutte quelle compagini giunte a noi sane e salve dagli anni ’90, attraverso un percorso duraturo e privo di errori clamorosi, il peso della Storia un po’ finisce per schiacciare, un po’ porta alla consuetudine, a una certa leggerezza e un’opinione precostituita nell’affrontare una nuova pubblicazione firmata Moonspell. I lusitani raramente si sono accontentati di assecondare i gusti dei fan e dargli esattamente quello che la frangia tradizionalista si aspettava da loro. Così accade anche per “Hermitage”, full-length numero tredici dei Nostri e, in contraltare all’iracondo “1755”, rivolto verso sonorità più melodiche, di ampio respiro e contaminate rispetto al brutale predecessore.
Nella presentazione Fernando Ribeiro e compagni suonano un poco sinistri, quando affermano: “Sappiamo che stiamo entrando nella fase finale delle nostre carriere di musicisti”. Quindi rassicurano: “L’obiettivo dei Moonspell, in questi ultimi giri attorno al Sole, è quello di scrivere la migliore musica che siamo in grado di produrre”. La voglia di essere schietti, sinceri, poco mediati da altre esigenze che non siano quella di esprimere se stessi in piena naturalezza, ha portato la band a una delle sue opere più moderate nei toni, un disco disteso e per certi versi anche abbastanza minimale.
Poco è rimasto dell’indole luciferina di “1755”, ormai considerabile come caso a parte nella discografia dei portoghesi da “Alpha Noir” in avanti. “Hermitage” suona nella sua interezza piuttosto rarefatto, rivolto a toni sommessi e una distorsione ben poco invasiva. Un album che suggestiona con quell’atmosfera ‘mediterranea’, malinconica come lo sono certi paesaggi di mare invernali, marchio di fabbrica del gruppo e ora velata di una nostalgia per le cose perdute che fa venire i brividi, in alcuni frangenti. Le esplosioni e i contrasti tipiche del catalogo Moonspell sono relegate a poche circostanze, l’accento è posto su percussioni calde e avvolgenti e il connubio tra chitarre acustiche e tastiere dal suono vintage è ciò che dà colore al sound complessivo di “Heritage”. Lo stesso approccio vocale di Fernando rinuncia a momenti altisonanti e aggressioni in growl (assai rare), concentrandosi su interpretazioni intimiste e dal pathos sempre alto, ma più misurato nell’esposizione. Viene anche difficile trovare un paragone calzante con altri episodi del passato, per quanto variegata sia la discografia dei portoghesi; l’impatto è attutito, radi anche quei contrasti netti che potevano emergere in altri album non particolarmente estremi, come il recente “Extinct”. Le distensioni psichedeliche e progressive rock di “All Or Nothing”, destinata per sua natura a dividere e far sorgere dubbi sulla direzione artistica attuale, rappresentano il limite ultimo a cui i Moonspell si sono spinti quanto a rilassatezza. Ma pur andando a riprendere maggior quadratura e vigore, il resto della tracklist presenta una visione snella, quasi rock nelle formule e negli arrangiamenti, che ha pochi legami con altre fasi storiche della formazione. Passato un iniziale shock, però, crediamo che il valore compositivo emerga e ci si possa comunque far emozionare da canzoni che, come negli intenti di chi le ha scritte, parlano al cuore dell’ascoltatore senza troppe mediazioni.
L’opener “The Great Good” e la titletrack gravitano attorno a melodie facilmente memorizzabili e un intrecciarsi di solismi e tastiere denso di enfasi, con i refrain a scolpirsi nella mente per il loro trasporto. Per chi scrive, meriterebbero approfondimento soprattutto quelle situazioni inattese e declinate all’etereo, come gli arpeggiati onirici di “Entitlement”, o i cori epicheggianti di “The Hermit Saints”, brani sommessi, che guadagnano in forza espressiva in un fluire di fraseggi cristallini e accavallarsi di voci estatiche. La sperimentazione prende piede in particolare verso il finale, regalandoci una perla di seduzione e inganno come “Without Rule”, dove appiccicosi arrangiamenti elettronici si innestano su registri melodici tra il dark-pop e suggestioni orientali. Anomalo, dilatato, molto quieto per gli standard dei Moonspell, probabilmente un po’ discontinuo, “Hermitage” espone però un bagaglio di idee di valore e una voglia di mettersi in gioco che per chi è in giro da quasi quarant’anni non è affatto scontato possedere. Da parte nostra il giudizio è quindi positivo, ovviamente sarà il pubblico a decretare il successo o il naufragio di questa nuova avventura discografica.