voto
5.5
5.5
- Band: MORBID ANGEL
- Durata: 00:56:40
- Disponibile dal: 07/06/2011
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Apple Music:
Questi sono momenti critici. Arriva un disco del genere, lungamente atteso, e ci si chiede come affrontarlo. Hanno tradito? Hanno fatto un passo avanti? Hanno fatto schifo? Che hanno fatto? Parliamo dei Morbid Angel, un gruppo per cui niente è mai stato scontato (eccetto il precedente “Heretic”), che ha sempre guardato avanti o, nel peggiore dei casi, altrove: a noi tocca l’ingrata ma irresistibile sfida di provare a fare un po’ di luce e dare un giudizio il più possibile sensato, tuttavia non scindibile da riflessioni di carattere personale; è per questo che cercheremo in primis di tenere in considerazione la qualità effettiva delle canzoni, oltre all’identità di chi abbiamo davanti, per poi contestualizzarne ogni accorgimento stilistico attraverso il track-by-track che troverete di seguito. Come prevedibile, il ritorno di Dave Vincent ha quasi del tutto cancellato l’esperienza maturata con Steve Tucker, eccezion fatta per la spigolosità e l’inorganicità ereditate da “Heretic”, favorendo la restaurazione di quello spirito rock che è sempre stato presente nei primi Morbid Angel, assieme a una certa dose di sperimentazione (a tal proposito, siate memori di una certa “Angel Of Disease”, sintesi di entrambe le qualità). Tutto ciò ha prodotto un disco diviso equamente fra due anime: una più ortodossa, che non riserva particolari esaltazioni (nemmeno particolari dolori, a onor del vero), e una più sperimentale, che genera sentimenti più contrastanti non mantenendo la qualità allo stesso livello delle intenzioni. Tutto ciò è indizio di compromesso, pessimo ritrovato per chi intenda esprimersi in una qualsiasi maniera: se da un lato si è voluto sperimentare, ottenendo anche qualche risultato gradevole, dall’altro non lo si è fatto fino in fondo, cercando di creare un base comprensibile a tutti. Pezzi come “Existo Vulgoré”, “Blades For Baal”, “Ten More Dead” e “Beauty Meets Beast” ci raccontano proprio che i Morbid Angel hanno voluto pararsi le terga con canzoni che, pur non libere dalle asperità di “Heretic”, citano “Covenant” e “Domination”, riservando anche qualche acuto tipico della band, come verificabile dal track-by-track: in questo panorama assurge a ruolo di pezzo migliore, con ben poca sorpresa, l’unico finora presentato dal vivo, quella “Nevermore” che, unica, rinverdisce con vigore i fasti passati dei Morbid Angel per quanto riguarda gusto, strutture e qualità. L’altra faccia della medaglia è invece definita da canzoni che cercano di fare un passo oltre, recuperando suggestioni completamente sparite nell’era Tucker. Quest’operazione, però, riesce solamente a tratti: pezzi come “Too Extreme!”, “Destructos v.s The Earth/Attack” e “Profundis – Mea Culpa” vorrebbero fondere basi e suoni tipici dell’hardcore digitale con riff e ritmiche mutuate dal death metal, ma falliscono a causa di un’attuazione inconsistente dell’idea, non bastando certo il concetto di addizione per rendere effettiva una sintesi tanto curiosa. Di contro ci sono pezzi come “I Am Morbid” e “Radikult”, in evidenza grazie alla personalità dei Morbid Angel che, per mezzo della loro anima rock, conferiscono a queste due tracce un feeling che potremmo definire ai limiti del death’n’roll. I tratti comuni a tutti i pezzi della tracklist sono la voce di Dave Vincent che, per quanto denunci l’irrimediabile passare degli anni, non ha perso carattere e timbrica da “dominatore”, e una presenza eccessiva di ritornelli, piuttosto “catchy”, che allungano oltremodo il minutaggio del disco (mascherando un probabile calo d’ispirazione, ragionevole dopo oltre 25 anni di carriera). Infine, al di là delle stranezze stilistiche che per noi non rappresenterebbero un problema laddove la qualità risultasse evidente, possiamo concludere senza indugio che, pur essendo presenti alcuni lati positivi, a questo disco manca buona parte di quello che ha contraddistinto i Morbid Angel per tutta la loro storia: le atmosfere macabre e compiaciute, mostruose e sensuali al contempo, che hanno contribuito a dare alla loro musica connotazioni d’eccellenza, congiuntamente al fascino dei blastbeat frustati di Pete Sandoval, per nulla rimpiazzati dalla prestazione pulitissima ed ineccepibile di Tim Yeung.
OMNI POTENS:
Classicissima intro marziale che preannuncia il carattere “industriale” di alcuni dei pezzi successivi.
TOO EXTREME!:
Prima canzone totalmente spiazzante. Immaginate dei riff alla “Rapture”, da “Covenant”, che si innestano su una base ritmica hardcore digitale: dopo degli istanti passati a sgranare gli occhi e farsi delle ragionevoli domande, ci si accorge che la canzone si perde nel nulla, lasciandosi dietro la sensazione di un’occasione persa dal momento che l’idea in sé, per quanto inortodossa, sarebbe interessante.
EXISTO VULGORÉ:
Neanche questa canzone è il massimo, tuttavia i motivi sono differenti: se prima si poteva parlare di esperimento mal riuscito, in questo caso si può proprio parlare di pezzo mediocre, strutturato principalmente su un ritornello che si trascina lungo tutta la canzone. In sostanza pare di ascoltare una b-side di “Domination” imbellettata alla maniera di “Heretic”.
BLADES FOR BAAL:
Questa canzone ricorda in qualche modo “Blood On My Hands”, da “Covenant”, e rinfresca un attimo l’ascolto, confermando che i Morbid Angel non hanno dimenticato come scrivere un pezzo death metal in accordo con loro immagine. Benché non sia un il pezzo migliore possibile, la canzone scorre più che decentemente continuando a citare “Covenant”, dunque alternando certi tipici rallentamenti con altrettanto tipiche parti accelerate.
I AM MORBID:
Prima sopresa, di un certo qual carattere positivo per chi scrive. La traccia si apre con una folla che urla: “Morbid!”, seguita da un riff molto, molto rock’n’roll che anticipa la natura della canzone. Considerato tale aspetto, assieme alla struttura asciutta del pezzo e il suo groove, per noi non sarebbe eccessivo parlare di “death’n’roll à la Morbid Angel”: ovviamente siamo fuori tempo massimo per stupircene, ovviamente l’accezione del termine è diversa da quella comunemente adoperata in Europa ed oltretutto si ripresenta la “ritornellite” che affliggeva “Existo Vulgoré”, ma proprio dal paragone con quest’ultima ci sentiamo di preferire “I Am Morbid”, grazie al suo occhio buttato oltre il confine. Non si tratta certo di un capolavoro, ma sicuramente di un brano con alcune cose da dire.
TEN MORE DEAD:
Il problema di questo pezzo è uno solo: non è brutto, ma è “World Of Shit pt.2” per via di riff assai simili e della medesima idea di un’accelerazione centrale, con l’inevitabile aggiunta di un ritornello assai più catchy (e assai più presente). Le conclusioni le potete davvero trarre da soli, avendo ben presente che dire: “alla fine è un pezzo carino”, è sostanzialmente un fallimento per un gruppo del genere.
DESTRUCTOS v.s THE EARTH/ATTACK:
Altro grosso passo falso del disco, altra occasione persa. Il pezzo in realtà vorrebbe essere proposto come una nuova “Hatework”, per via della cadenza marziale sul cui ritmo Dave Vincent delira di eserciti in marcia contro chissà chi, scandendo il tutto in modo molto techno. Il problema non sta tanto nei primi ascolti, quanto nei successivi: sette minuti di riff anonimi dal suono eccessivamente sintentico, scritti tutti da un Destructhor completamente fuori contesto, risultano troppi, per noia e sdegno.
NEVERMORE:
Il pezzo migliore del disco, quello in cui i Morbid Angel si riconoscono al volo, si comportano da Morbid Angel e declamano la loro (disattesa, ndR) “uncompromising will” (tanto per citarli): non a caso è l’unico presentato finora dal vivo. Qui la pratica del “ritornello allo sfinimento” viene evitata, con risultati decisamente apprezzabili: un monolite sonoro in stile “Domination”, fregiato da tempi mediamente più veloci. Viene da sospirare, perché siamo certi che tutti voi fan avreste voluto un album intero con tutti pezzi coerenti a questo livello qualitativo.
BEAUTY MEETS BEAST:
Sebbene in maniera meno spudorata di “Ten More Dead”, anche in questo pezzo si riscontrano autocitazioni piuttosto evidenti, dal momento che il sentore di “Nothing But Fear”, da “Domination”, è più che un sospetto. Tuttavia si può riscontrare anche qualcosa di positivo: il bel solo centrale, finalmente il primo degno del nome di Azagthoth. Per il resto ci si attesta sul livello medio dei pezzi più decenti dell’album: si fa ascoltare e non molto di più. Altro attacco di “ritornellite”.
RADIKULT:
Secondo pezzo per cui si può parlare di death’n’roll, sempre secondo la loro maniera. Dopo l’intro parte un pezzo decisamente anni ’90, nella forma, che ricorda molto da vicino le cose migliori degli White Zombie. Eh già, White Zombie. Questo è un pezzo che dividerà o, molto più probabilmente, indignerà la quasi totalità degli ascoltatori, i quali – generalmente – dall’angelo morboso si aspettano assai altro. Tenendo un occhio su questo e uno sull’effettiva qualità del pezzo, ci sentiamo di dire che il vero principale difetto di questa canzone sta nella già affrontata “ritornellite” che lo allunga a dismisura: diversamente potrebbe avere ben altra dignità, con buona pace di chi vorrebbe solo statiche, ma rassicuranti, conferme.
PROFUNDIS – MEA CULPA:
Terzo ed ultimo esperimento digitale per i Morbid Angel, che va leggermente meglio (per quanto non buchi la soglia della sufficienza). Non ci è dato sapere se è l’ultimo scritto, quello che quindi può godere di un’esperienza accumulata, certo è che pare più strutturato, dunque più canzone, dei precedenti. In sostanza si tratta di una marcia scandita da beat sintetici, su cui scorre un riff apocalittico come da copione, durante la quale Dave Vincent interpreta la sua arringa.
Se potete, permetteteci un’ultima breve riflessione: durante i ripetuti ascolti dell’album abbiamo avuto la decisa impressione che le tre sperimentazioni digitali abbiano preso il posto, nel numero e nella disposizione, dei consueti interludi strumentali reperibili sugli album precedenti. E’ dunque con questo spirito che secondo noi andrebbero affrontate tali canzoni: né più né meno che divertissement assai poco nei canoni, non superiori – come qualità – alle ben note, e più ortodosse, “Assolo Di Batteria Di Pete Sandoval Che Suona Nudo Nella Stanza Di Fianco” o “Variazione Dell’Assolo Di Trey Azagthoth Posizionato Su Una Gamba Sola”.