8.0
- Band: MORBID ANGEL
- Durata: 00:47:38
- Disponibile dal: 01/12/2017
- Etichetta:
- Silver Lining
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Rimarcare il peso specifico di un gruppo come i Morbid Angel, tra le realtà più visionarie e influenti dell’intero genere death metal, è esercizio futile e stucchevole. Così come non necessita di ulteriori disamine “Illud Divinum Insanus”, album che nel 2011 minò alle fondamenta una reputazione costruita in oltre trent’anni di carriera e legittimata da almeno quattro pietre miliari intoccabili. Tante cose sono cambiate dal succitato disastro, in primis l’estromissione di David Vincent e il ritorno all’ovile di Steve Tucker, già frontman della band tra il 1997 e il 2004, e mai come in questo caso si può dire che una mossa nostalgica abbia portato a frutti insperati. Contro ogni aspettativa e al netto di una serie di trovate infelici (l’annullamento di due tour europei, un artwork digitale di dubbio gusto), l’Angelo Morboso si risolleva dalle proprie ceneri con un’opera che suona in tutto e per tutto come un grido di riscatto; un’esternazione viscerale e sentita capace di zittire le malelingue e riportare indietro le lancette dell’orologio ai tempi di “Formulas Fatal to the Flesh” e “Gateways to Annihilation”, dischi mai abbastanza incensati che fungono da primo termine di paragone per la tanto agognata lettera ‘K’. Date le premesse, non stupisce che “Kingdoms Disdained” rifugga il concetto di back to the roots propriamente detto per concentrarsi sul medesimo approccio di fine anni ’90/inizio anni 2000, facendo un sunto delle alchimie sperimentate in quel periodo dalla formazione di Tampa, tra asperità e fascinazioni nei confronti dell’Abisso. Un suono tetragono e frastagliato che ha poco da spartire con le atmosfere carnali, vagamente suadenti, di antiche hit come “Blessed Are the Sick/Leading the Rats” o “God of Emptiness”, in cui parentesi lancinanti cedono sovente il passo a ritmiche marziali e inquisitorie. Fatta eccezione per il singolo “Piles of Little Arms”, tirato dall’inizio alla fine, il resto della tracklist si muove costantemente tra questi due estremi, mettendo in luce un Tucker in grandissimo spolvero dietro al microfono e – soprattutto – la rinnovata verve al songwriting di Azagthoth, finalmente alle prese con riff e dinamiche degne del suo nome. Esaltati da una produzione a cura di Erik Rutan e dall’ottima prova del batterista Scott Fuller (Annihilated, ex Abysmal Dawn), episodi come “The Righteous Voice”, “Architect and Iconoclast”, “Declaring New Law (Secret Hell)” o la conclusiva “The Fall of Idols” avanzano a mo’ di bulldozer per schiacciare qualsiasi ostacolo li si ponga di fronte, contraendosi e distendendosi in una serie di up/midtempo che non mancano mai di denotare gusto e ingegno nel loro succedersi apocalittico. Dimenticate quindi i compromessi, gli assurdi tentativi di coniugare death metal e musica elettronica di sei anni fa: “Kingdoms Disdained” è ciò che i Morbid Angel avrebbero dovuto pubblicare dopo l’enorme capitolo ‘G’. Un album che è anche l’autoaffermazione di un re pronto a reimpossessarsi del trono perduto. Scettici e detrattori avranno presto di che ricredersi.