7.0
- Band: MORBID STENCH
- Durata: 00:42:17
- Disponibile dal: 10/10/2022
- Etichetta:
- Alkolik Holocaust Records
- El Conjuro Records
- Morbid Skull Records
Spotify:
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Anche nell’America centrale si muove qualcosa, tanto che gruppi e progetti provenienti da queste lande non sono più una novità. Ad esempio, di recente abbiamo avuto modo di apprezzare death metaller come Astriferous e Bloodsoaked Necrovoid, provenienti dal Costa Rica, e ora è un piacere imbattersi in questi Morbid Stench, progetto death-doom i cui membri si dividono tra il suddetto Costa Rica ed El Salvador.
“The Rotting Ways of Doom” è il secondo album del trio, una co-produzione tra le piccole Morbid Skull Records, El Conjuro Records e Alkolik Holocaust Records, che, a dispetto del minaccioso titolo, colpisce con un’immediatezza a tratti sorprendente: bastano infatti poche battute di ogni canzone per scoprirsi irretiti nel seguire certe sinuose arie partorite dalla chitarra di Jorge “Morbid” Montesino. Il suono della formazione ha certamente come ambizione quella di condurre l’ascoltatore in un mondo tetro e funesto, tuttavia la prima cosa che emerge dall’ascolto dell’opera è la notevole rotondità dei riff di chitarra, oltre alla spinta di alcune di queste melodie dalla preponderante vena maligna e dalla forte potenza ipnotica. Siamo, in sostanza, dalle parti di quel death-doom ‘orecchiabile’ promosso negli ultimi anni da gente come gli Hooded Menace o dai Temple Of Void nei loro momenti più solenni, con un impianto strumentale certo essenziale, ma davvero ben gestito nella sua missione di creare un suono fosco, distorto e riverberato, capace però di diventare elegiaco o di infiammarsi in un death metal di matrice old school.
Come accennato sopra, è proprio il carattere spontaneo, diretto delle sei canzoni di “The Rotting Ways of Doom” quello che colpisce subito la prima volta messo nel lettore, ma è una sensazione di energia che non abbandona anche dopo ascolti reiterati. Già l’iniziale “Estuary of Relics”, sette minuti di intrecci chitarristici intriganti e ritmi vigorosi e martellanti, introduce nel migliore dei modi al disco, ma forse il meglio arriva nel finale, con una “Slowly Walking Through the Darkness” che, a dispetto di quello ‘slowly’ nel titolo, si fa segnalare per dei cambi di tempo più decisi e un più ampio spettro di soluzioni a livello di riffing.
All’interno dell’album non si rintracciano esperimenti o particolari colpi di genio, velleità progressive o criptiche derive funeral, ma “The Rotting Ways of Doom” riesce comunque a fare la sua figura, rivelandosi una prova frutto di un bel lavoro di composizione, con pochi ingredienti sempre ben dosati e una sana ispirazione alla base. Per voi stravede per i suddetti Hooded Menace e Temple Of Void, ma anche per realtà affini come Solothus e Famishgod (senza ovviamente dimenticare Asphyx e primissimi Amorphis), un disco da recuperare.