7.0
- Band: MORGOTH
- Durata: 00:47:00
- Disponibile dal: 30/03/2015
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Universal
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L’anteprima a nome “God Is Evil” non era stata propriamente clamorosa, ma davanti all’intero nuovo “Ungod” non si può dire che il ritorno dei Morgoth sia stato sterile. L’inaspettata dipartita dello storico frontman Marc Grewe poco prima delle registrazioni dell’opera aveva fatto temere il peggio, ma in Karsten “Jagger” Jäger i Nostri hanno trovato un sostituto esperto ed affidabile, il quale, a conti fatti, non fa assolutamente rimpiangere il suo predecessore. Si potrebbe parlare di questo come-back album dei tedeschi come di un lavoro intelligente: forse consapevoli del fatto che quasi vent’anni di assenza dalla scena metal fossero un’eternità e che il death metal affilatissimo dei veri e propri esordi oggi non fosse del tutto nelle loro corde, i Morgoth sono usciti con un disco che tutto sommato, a livello stilistico, colma accortamente il breve gap tra il celebrato debut “Cursed” e il più sperimentale ma altrettanto fortunato “Odium”. Parliamo quindi pur sempre di death metal, ma non si assiste ad una ricerca continua dell’uptempo forsennato o del riff serrato e bruciante: il gruppo, piuttosto, prende alcuni tratti di “Cursed” (oltre ovviamente alle vecchie influenze dei Death di Chuck Schuldiner) e li mescola con dei passaggi più frastagliati e con delle pennellate di emotività per confezionare delle canzoni più ambigue, scomodando appunto paragoni con il sound obliquo e il vago astrattismo voivodiano di “Odium”. La base musicale sembra fatta apposta per ospitare le urla sofferte di Jäger, già abituato ad esprimersi su sonorità particolarmente profonde e viscerali coi suoi Disbelief, ma, in verità, è tutta la band a dare l’impressione di trovarsi a proprio agio su queste trame più controllate. Provare a bissare “Cursed” sarebbe stata un’impresa forse troppo difficile e i Morgoth nel complesso paiono aver preso la decisione giusta, restando lontani da revival forzati o da soluzioni totalmente old school che avrebbero richiamato accostamenti anche con tante nuove leve assai agguerrite. “Ungod” presenta sì qualche calo di tensione – i due episodi strumentali non dispiacciono, ma nemmeno esaltano, ad esempio – tuttavia nell’insieme riesce a dare una confortante idea di cura e impegno, regalando ogni tanto anche qualche brano effettivamente sopra la media. Chi pretendeva un riscatto dopo lo “scandalo” di “Feel Sorry for the Fanatic” verrà probabilmente accontentato.