7.5
- Band: MORTICULA REX
- Durata: 00:34:44
- Disponibile dal: 19/04/2021
- Etichetta:
- Satanath Records
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Secondo album per i siciliani Morticula Rex, approdati nell’enorme casa della russa Satanath. “Autumnal Rites” (sebbene con un titolo meno evocativo nelle reminiscenze dei Celtic Frost del precedente “Grotesque Glory”), fa compiere alla band quel passo in avanti che spesso può rappresentare l’inizio di una svolta. Ma andiamo con ordine: Alessandro Fede (qua A. Wehrmacht), decide di non fare più tutto da solo e cede gli oneri della chitarra solista a Pavor Nocturnus, dividendo con lui le tracce di basso. Il duo, così, riesce a regalarci un disco di doom-death in puro stile anni Novanta. Parliamo di un mix tra Autopsy e primissimi Paradise Lost, dove le connotazioni tipiche del death metal europeo si fondono con le melodie più cupe di Candlemass e Winter: un bel salto nel passato, non c’è che dire. E se il songwriting era già di alto livello nel disco d’esordio, qua – grazie all’apporto della nuova chitarra solista – guadagna un tocco in più che sposta l’asticella decisamente più in alto (basti sentire la titletrack). Non mancano le atmosfere come in “The Silence Within”, preceduta dalla breve strumentale “They Come Out At Dusk”; un riff portante che sembra strappato da “Shades Of God”, così come le tastiere e le parti parlate non possono non ricordarci Mackintosh e Holmes. Attenzione, però, non stiamo parlando di plagio ma di una semplice ispirazione che, se rimanda ad alcuni pionieri del genere, nulla toglie in originalità ai Morticula Rex che, invece, sembrano saper passare con assoluta naturalezza da brevi intermezzi quasi gothic a momenti di puro death metal, sempre mantenendo un certo spirito doom nei pezzi. Certo, parliamo di un genere che è stato – ingiustamente – snobbato negli ultimi anni, ma che sta vedendo una certa rinascita e, in quest’ottica, non possiamo che essere felici per l’uscita di un disco come “Autumnal Rites”. Se poi saprete ascoltarlo con attenzione, noterete tantissimi piccoli riferimenti a band di culto (la voce pulita di Alessandro su tutti) a dimostrare una grande cultura musicale, pronta a sfociare in quei lavori di cesello che fanno davvero la differenza in un album e di cui la conclusiva “Sleeping Among The Dead” è perfetto esempio. Per concludere nel doom/death carico di romanticismo (nel senso letterario del termine), abbiamo volutamente lasciato alla fine le due menzioni d’onore: un growl urlato e prodotto esattamente come nei primi anni Novanta e una batteria programmata in modo impeccabile, perfetta nel donare quel tocco glaciale che aggiunge un’ulteriore aura di mistero.