8.0
- Band: MORTUARY DRAPE
- Durata: 00:46:17
- Disponibile dal: 14/11/2014
- Etichetta:
- Iron Tyrant
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L’indipendenza spirituale: un traguardo agognato da ogni artista, diciamo pure da ogni individuo. Wildness Perversion e i suoi Mortuary Drape da questo concetto non hanno mai derogato, e per quanto la carriera del gruppo sia stata travagliata e non lineare, non si è mai pensato di cedere a compromessi o sedersi su una situazione più comoda. Il combo piemontese ha mantenuto la rotta nella buona e nella cattiva sorte, guadagnandosi un following fedele e diventando una delle cult band più rispettate e riverite del nostro paese. Quale ruolo rivestano i Mortuary Drape nella scena underground lo si può toccare con mano soprattutto all’estero, perché il quintetto viene chiamato a suonare ad ogni angolo del globo, dove l’accoglienza è quella che si riserva a dei nomi di prima grandezza, non a un semplice gruppo italiano in gita fuori porta a qualche migliaio di chilometri da casa. Negli ultimi cinque anni la stabilità della line-up ha permesso un’attività live intensa e regolare, i nuovi membri “arruolati” tra il 2010 e il 2012 hanno acquisito grande disinvoltura nel recitare lo spartito assegnatogli, e chi ha assistito a un concerto dei Nostri sa bene quanto siano micidiali sulle assi di un palco i Mortuary Drape odierni. Un nuovo album era nell’aria, e con la chicca del ritorno di Wildness Perversion dietro il drum-kit, come su disco non accadeva dall’esordio targato “All The Witches Dance”, “Spiritual Independence” può colmare un vuoto lungo dieci anni. Il penultimo “Buried In Time” aveva leggermente deluso, era stato parzialmente accantonato l’esoterismo morboso che aveva connotato l’operato del gruppo fin dagli esordi e si era calcata la mano di converso su un thrash metal piuttosto tecnico ed esasperato. Thrash che a dire il vero è nelle corde della formazione piemontese fin dagli inizi ed ha bilanciato con successo nei primi lavori la pulsione a flirtare col macabro, collocando la band in una nicchia tutta sua, dove la muscolarità tecnicamente pregiata della Bay Area poteva sfociare in scampoli di black metal e trasformarsi completamente in un metal orrorifico debitore della NWOBHM più maligna e dei Mercyful Fate. Il nuovo album attinge proprio dalla prima fase di carriera, potrebbe essere visto come il degno seguito di “Secret Sudaria” e snocciola un rosario di nefandezze barocche e mefistofeliche, condite da svolazzi solistici fantasiosi e clamorosamente ottantiani, una sorta di rivisitazione del periodo d’oro dei guitar-hero all’odore d’incenso. Tutto il disco vive dell’alternanza fra cupezza sepolcrale ed assalti sferraglianti, spacca-collo come il miglior thrash metal dovrebbe essere, mitigati appunto da soliste veramente da capogiro, perché ci proiettano nella variopinta musicalità del power americano e del metal inglese dei tempi d’oro, annerite da black melodico e doom progressivo. I nuovi brani rivelano appieno il loro valore un poco per volta, catturando l’attenzione con il riffing serrato e il travolgente cantato orchesco di Wildness Perversion, ma dispiegandosi pienamente, e felicemente, solo con ascolti molto attenti. E’ proprio quando s’inizia a respirare a pieni polmoni l’aria insalubre emanata da “Spiritual Independence”, e non solo a martoriarsi di headbanging, che le candele poste sulla cover moltiplicano il loro bagliore, accecando. L’alone esoterico degli arpeggi irretisce, avvolge senza accorgersene, e le tombe si scoperchiano, lasciando ammirare quanto sfacelo contengano. Il basso in primissimo piano è uno spirito inquieto e istrionico, che ghermisce e stordisce; in collaborazione con un drumming deciso e fantasioso, distaccato da un genere ben definito, incanala ogni composizione su binari diversi, evitando ripetizioni fra una traccia e l’altra. I Mortuary Drape dimostrano ancora una volta di essere uno dei migliori anelli di congiunzione fra l’extreme e il classic metal, concependo la loro musica come un probante viaggio negli Inferi, ma senza la grevità asfittica di buona parte dei colleghi devoti all’oscurità. L’ossessione negromantica è contrastata da aperture gotiche molto eleganti e gli strappi thrasheggianti spezzano le catene del doom, per lanciarsi in momenti tambureggianti e notevolmente catchy. “Lithany” sotterra sotto pile di corpi con ritmiche sadicamente efferate, ma riesce anche a sedurre e spettacolarizzare la violenza fisica e concettuale di cui è portatrice, con stoccate solistiche prolungate ed espressive come nel metal moderno non sempre accade. Momenti catacombali, densi come l’odore di crisantemi il giorno dei morti e sacrali come una messa nera, punteggiano il disco e approdano a una dimensione più alta all’interno di “Natural Death (1930-2011)” e “Mortal Remains”, mentre dalle parti di “Once I Read (Marble Tomb)”, “Immutable Witness” e “Ignis Fatuus (Deaf Space)” i toni si fanno aspri e cruenti, con una serie di incursioni nella bieca violenza che fanno impallidire il 90% delle compagini thrash odierne. “Spiritual Independence (The Farewell)”, con l’ultimo carico di decadente abiezione, mette il punto esclamativo su un rientro discografico all’altezza del glorioso passato del gruppo, un ascolto imprescindibile per gli amanti della miglior arte mortuaria in circolazione.