7.5
- Band: MOSS UPON THE SKULL
- Durata: 00:38:07
- Disponibile dal: 08/11/2024
- Etichetta:
- I Voidhanger Records
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Non sono certamente il gruppo più alla moda o chiacchierato, i Moss Upon The Skull. La band belga se n’era uscita senza alcun squillo di fanfara con l’ottimo esordio su lunga distanza nel 2018, regalandoci una piccola perla di techno-death metal vecchia scuola con “In Vengeful Reverence”. Death metal di stimmate orgogliosamente tradizionaliste, privo di spunti che potessero riferirsi a uno scenario moderno. Muscolare, intenso, ‘sudato’ e adeguatamente tortuoso, misterioso e costellato di tante piccole invenzioni, tale da inserirlo in un contesto assimilabile a Death, Gorguts, Pestilence, Cynic, tutti presi in una fase di carriera a cavallo tra le soluzioni più ruvide dei primordi, e le prime esplorazioni dell’ignoto e di vie musicali più elaborate. La produzione vintage andava perfettamente a definire questo misto di ardori e riflessioni morbose, per un disco capace di affascinare sia gli animi iper-tradizionalisti, sia i cultori di sonorità dettagliate e imprevedibili.
Sei anni più tardi, idee e azioni paiono originarsi dal medesimo filone, all’insegna di un abbecedario di suoni, ritmi, impaludamenti e sprazzi di tesa melodia che rimandano direttamente a costrutti novantiani, con poche concessioni per pensieri prodotti oltre il 1995 circa. In una tracklist sintetica e senza un filo di grasso, il gruppo si fa alfiere di un death metal tecnico dal taglio old-school orgogliosamente lontano dalle mode del momento, facendosi portavoce semplicemente del proprio intimo sentire. Trasuda un fascino arcano e autentico fin dall’opener “Dwelling On Charnel Grounds”, giocata inizialmente su tempi frenetici ma non esageratamente pressanti e un lavoro di chitarra a suo modo estroverso, particolarmente interessante nei rallentamenti più ariosi, quando prevale un sentire che si avvicina addirittura al gothic-doom. In pochi minuti, i Moss Upon The Skull riescono a passare in rassegna vari approcci, da quelli più ferali e oltranzisti, a sezione ritmate e coinvolgenti, fino appunto a momenti quasi rasserenanti.
La produzione d’altri tempi non porta il discorso né su terreni chissà quanto arcigni, né fa virare la formazione verso leggerezze fuori contesto. Il gruppo ha velleità sperimentali, ma non per questo vuole andarsene lontano dalle sue radici. Ecco allora che le stranianti divagazioni di “Heretical Experiments In The Subterranean Citadel”, tra voci pulite appena accennate, sintetizzatori e un taglio prog molto pronunciato, risulta essere pienamente coerente rispetto ad altri frangenti ben più scuri e tormentati. “Quest For The Secret Fire” vive di una costante tensione tra pulsioni cavernicole e la voglia di frequentare una musicalità ambigua, ancora pienamente estrema eppure più contaminata e meno inquadrabile.
Bellicosità, istintività e vera devozione alla brutalità convivono in armonia a partiture cerebrali, sorrette da un lavoro di basso originale e una struttura dei pezzi alternante partiture massicce e prettamente old-school, ad altre ondivaghe, in direzione di una dimensione ‘cosmica’ che sa di un ascolto attento dei Voivod.
Nel lasciar sfogare le proprie ambizioni atmosferiche, i Moss Upon The Skull compiono probabilmente le loro azioni migliori. Gli sviluppi progressive della title-track ampliano il ventaglio di possibilità, tolgono quelli piccole rigidità udibili nelle tracce più concise e fanno intuire un potenziale ancora parzialmente inespresso. Magari meno spumeggiante e sorprendente dell’esordio, “Quest For The Secret Fire” sa comunque emergere dall’iper-competitivo sottobosco death metal odierno. La sua freschezza sta nel guardare sia indietro che avanti, partendo da modelli chiari e poi architettando un discorso non confondibile con altri interpreti.