8.5
- Band: MOTLEY CRUE
- Durata: 01:00:23
- Disponibile dal: 15/03/1994
- Etichetta:
- Elektra Records
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“Who said the music’s dead in the streets? Don’t know what they talk about”
Tramontati i variopinti e spensierati anni ’80 e dopo aver fatto incetta di dischi d’oro con il primi cinque lavori, per i Motley Crue il futuro si prospetta più roseo che mai, complice la firma di un contratto multimilionario con la Elektra Records. Ma le ambizioni di regnare incontrastati nella nuova decade vengono decisamente ridimensionate a causa dei continui dissidi tra il bassista/compositore Nikki Sixx ed il frontman Vince Neil, che provocano la brusca dipartita di quest’ultimo. Assoldato perciò il giovane e poco conosciuto John Corabi (ex frontman degli Scream, autori nel 1991 di uno splendido debutto marchiato a fuoco dal metal più stradaiolo, ma passato a dir poco inosservato) in sostituzione del platinato e bizzoso singer, la band si mette al lavoro su quello che, col senno di poi, è il disco più coraggioso e, per alcuni, il migliore di tutta la carriera dei bad boys of rock’n’roll. Abbandonati lustrini, paillettes, rimmel e sguardi ammiccanti, i Crue abbracciano sonorità distanti anni luce da quelle per le quali erano divenuti celebri, riuscendo nell’ardua impresa di reinventarsi senza apparire posticci. Richiamato in cabina di regia il celebre produttore Bob Rock (che nel frattempo ha accresciuto la propria notorietà, grazie al lavoro sul ‘Black Album’ dei Metallica), i quattro losangelini falliscono nell’impresa di bissare il successo del multiplatinato “Dr.Feelgood”, nonostante un abbagliante ed illusorio debutto alla posizione numero sette nella classifica di Billboard. Etichettato in maniera superficiale come ‘grunge’ o ‘alternative’, da una critica pronta a tutto pur di distruggere ogni disco prodotto da una qualsiasi vecchia leva del metal, “Motley Crue” contiene una manciata di brani dotati di un groove e di un’intensità pazzesca, impostati prevalentemente su potenti mid tempo come “Power To The Music”, “Uncle Jack” e “Hammered”, plasmati da un massiccio ed intelligente lavoro alle sei corde della premiata ditta Mars/Corabi. Se il vecchio e minuto chitarrista è autore di una serie di pregevoli riff ed ispirati assoli, Corabi dimostra di essere un valido chitarrista ritmico, oltre che un cantante tecnicamente ben più dotato del suo illustre predecessore. La sua ugola roca ed intensa è a dir poco determinante nel conferire un prezioso valore aggiunto alle emozionanti semi ballad “Driftaway” e “Misunderstood” (nella quale troviamo il celebre Glenn Hughes alle backing vocals) e all’arrembante heavy metal al calor bianco di “Smoke The Sky”. Il primo singolo “Hooligans Holiday” funge da ideale ponte tra le melodie del passato ed il suono crudo e urbano del presente, mentre la scanzonata “Poison Apples” (scritta con il contributo di Bob Rock) richiama velatamente le atmosfere festaiole di “Dr.Feelgood”. Non mancano, a ben vedere, un paio di episodi sottotono come “Loveshine” – breve parentesi acustica che lascia una sensazione di incompiutezza – ed il traballante incedere di “Droppin’ Like Flies”, che avrebbero potuto essere tranquillamente estromesse dalla tracklist definitiva. Siamo però sicuri che, se l’album fosse stato pubblicato sotto un diverso monicker, il disco avrebbe ottenuto un risultato decisamente più gratificante; ma dopo la cocente delusione causata dalle vendite scarse e da un tour poco redditizio, come previsto, Corabi venne eletto capro espiatorio del flop (commerciale, non artistico) e, di conseguenza, silurato dal gruppo senza ottenere una seconda possibilità. Dimostrando di possedere un bel pelo sullo stomaco, i tre membri originari dei Crue richiamarono quindi alla base il figliol prodigo Vince Neil per tentare di rispolverare, o meglio resuscitare, un passato palesemente irraggiungibile e sepolto dalle luci al neon di L.A.. Album da riscoprire.
Si ringrazia Diego “Dr.Zed” Zorloni per la fattiva collaborazione.