8.0
- Band: MOTORHEAD
- Durata: 01:51:25
- Disponibile dal: 09/03/1999
- Etichetta:
- Steamhammer Records
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È il 1998, ed i Motörhead hanno appena pubblicato lo splendido “Snake Bite Love”, album di grande successo che nuovamente li inquadra in tutta l’incredibile potenza che riescono ad esprimere in studio come trio. Ma sono passati già dieci anni dal precedente live ufficiale del gruppo, e così Lemmy e soci decidono che l’ora è giunta per un nuovo disco dal vivo. La scelta è precisa: registrare per intero un concerto, cosa che in precedenza non era possibile per le limitazioni fisiche del vinile; la città scelta per ospitare il concerto da immortalare è Amburgo, in Germania, terra che Lemmy definirà in seguito ‘il vero e proprio salvagente della band, capace di riportare a galla i Motörhead ogni qualvolta stavano per affondare definitivamente’, e l’evento, da tenersi nella zona del porto, assume il nome di The Docks. È il 21 maggio 1998, e dal microfono parte la frase “How do you do Hamburg? We are Motorhead and we’re gonna kick your ass!”, accolta grandiosamente dal numerosissimo pubblico. “Everything Louder Than Everyone else”, titolo ripreso da una vecchia release in VHS datata 1991 e mutuato da una celebre frase di Ian Gillan – che nel celeberrimo “Made In Japan” dei Deep Purple, prima di “The Mule”, chiede ai tecnici del suono, a proposito delle spie di Ritchie Blackmore, “can he have everything louder than everything else?” – è un capolavoro di potenza e impatto. Non ripulito in fase di post-produzione per mantenere tutta l’autenticità possibile, questo doppio live inquadra in un sound rozzo, grezzo e sporco tutto ciò che il terzetto riesce a fare sul palco, tanto che a volte risulta difficile per chi si approccia ai Motörhead per la prima volta credere che siano solamente tre le persone che stanno suonando; molto presente il pubblico, quasi fondamentale nell’elevare il livello di potenza dagli amplificatori, che con Lemmy ha continui scambi di battute durante l’intero concerto. La setlist, che si apre con il classico “Iron Fist”, è strutturata come un greatest hits, e presenta, oltre a tutti i grandi classici del gruppo (su tutti “Bomber”, “Ace Of Spades”, “Orgasmatron”, la già citata “Iron Fist” e la clamorosa “Overkill” a chiudere le ostilità), molti pezzi comunque potentissimi come “Killed By Death”, “Born To Rise Hell”, “Overnight Sensation” o “Sacrifice”, e anche molti brani minori, ma decisamente mai filler, come la veloce “Burner” da “Bastards”, la splendida semiballad “Lost In The Ozone”, “Nothing Up My Sleeve”, la divertentissima “Going To Brasil” ed una “Capricorn” in una versione finalmente potente ed apprezzabile come mai prima. Da segnalare “No Class”, dedicata da Lemmy a Wendy O. Williams, cantante dei The Plasmatics e grande amica del cantante/bassista, morta suicida il mese prima del concerto. Fa quasi tenerezza quando, durante “Killed By Death” la voce di Lemmy cede quasi di schianto, lasciando il finale del disco con un vocalist quasi afono ma lungi dall’arrendersi o quando, di ritorno dalla pausa, che viene fatta vivere interamente dopo “Bomber”, il cantante esorta Monaco, e non Amburgo, a fare casino. Certo, se in un live album si cerca la classe cristallina ed una produzione chiara questo non è ne il gruppo né il disco ideale, ma se sapete di cosa i Motörhead sono capaci, questo è uno dei live album migliori della band.