7.5
- Band: MOURNING BELOVETH
- Durata: 00:37:31
- Disponibile dal: 22/01/2016
- Etichetta:
- Ván Records
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Per gli standard ai quali i Mourning Beloveth ci hanno abituato dalla loro fondazione ad oggi, questo “Rust & Bone” potrebbe quasi apparire come un EP. Il nuovo album degli irlandesi consta infatti di appena trentasette minuti di musica, a fronte di una serie di lavori che quasi sempre si erano attestati sull’ora abbondante. Un ascolto dunque più “snello” del solito, ma certo non meno ricco di fascino e suggestioni. Si sente come il gruppo abbia ulteriormente affinato certi spunti inclusi sul precedente “Formless”: gli esordi doom e funeral, spesso del tutto devoti alla formula ideata dai maestri My Dying Bride nei primi anni Novanta, hanno progressivamente lasciato spazio ad un suono meno rigido e più aperto ad influenze esterne. L’esplosione dei connazionali Primordial, ad esempio, deve avere lasciato un segno importante sul modus operandi dei ragazzi, che appunto già su “Formless” avevano qua e là optato per soluzioni non prettamente doom. “Rust & Bone” prosegue sulla stessa scia, tingendosi sovente di umori irish e lasciando riff e ritmiche fluire liberamente. La clamorosa opener “Godether” esemplifica al meglio il nuovo corso: ad una prima parte lenta e sofferente, segue un uptempo più arioso che, sia per atmosfera che per impatto emotivo, guarda alle recenti (migliori) composizioni della band di Alan Averill. Con questa traccia di oltre sedici minuti, i Mourning Beloveth riescono ad affrancarsi da qualsiasi formula preconfezionata, trovando un inedito compromesso tra doom, black e classic metal che sa essere tanto drammatico quanto coinvolgente. Il resto della tracklist offre invece una fruizione un po’ più immediata – “Rust” e “Bone” sono due brevissimi episodi strumentali, mentre “The Mantle Tomb” e “A Terrible Beauty Is Born” si tengono lontane dalla monoliticità dell’opener – tuttavia la tensione e il mood luttuoso che il quintetto era riuscito a creare nell’incipit non si disperdono: i brani, grazie pure ad una splendida interpretazione del cantante Darren Moore, scivolano con magistrale leggerezza fra bagliori di antichi mondi doom e brume di squisita malinconia irlandese, facendo viaggiare con la mente come poche altre volte. Di certo, siamo al cospetto di uno dei capitoli più alti e lirici della discografia dei Mourning Beloveth: il tormentato percorso della band arriva ad una apprezzatissima svolta, la personalità in dote al combo risulta più spiccata che mai e il lavoro, nel complesso, cattura sin dal primo ascolto. Qui inizia una nuova era per gli irlandesi.