7.5
- Band: MOURNING DAWN
- Durata: 01:09:02
- Disponibile dal: 26/03/2021
- Etichetta:
- Aesthetic Death
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Pessimista, tragico e brutale, “Dead End Euphoria” è un intenso impasto di death, black e doom metal, rabbioso e stratificato, imbevuto di amarezza profonda e di un’ira che non può essere frenata. Il trio francese approda a questo suo quarto album dopo un periodo molto travagliato, durante il quale la formazione è parsa come minacciata da una mai gradita nuvola fantozziana. Infatti, i sette anni che separano il disco appena sfornato dal precedente “Les Sacrifiés” (nonostante la musica qui contenuta fosse già stata composta anni fa) sono vissuti in una costante altalena tra piccoli sprazzi di luce e i problemi personali che hanno tormentato il vissuto del leader Laurent Chaulet. A questi si sono aggiunte un tour cinese naufragato ancor prima di iniziare e un mixaggio che non andava mai bene, tanto da far girare a Laurent ben sei studi differenti prima di essere soddisfatto. Infine, “Dead End Euphoria” ha pure subìto un nuovo mastering, perché anche in questo caso quello originario non aveva trovato il gradimento del tormentato mastermind. In tutto ciò, l’album era già pronto circa un anno fa, ma per svariati motivi si è fatto ancora attendere, fino alla sua uscita in queste settimane per Aesthetic Death.
Chaulet ha nel curriculum un breve passato nei disperati funeral doomster Funeralium, esperienza condivisa – non negli stessi anni di militanza – con il bassista Vincent Buisson, ed è da qui che possiamo partire per la nostra analisi di “Dead End Euphoria”. Nella musica dei Mourning Dawn possiamo rintracciare il medesimo senso di combattivo sconforto che gli autori di “Deceived Idealism” e “Of Throes And Blight” professano, le armonie in putrefazione, l’atmosfera tossica e dilaniata dall’afflizione. Di differente, però, ci sono strutture e ardimento molto più vicine a classici movimenti death-doom, rintracciabili in ritmati midtempo e riff squassanti e relativamente orecchiabili, almeno per i dettami del genere. Il lavoro di chitarra denota forza e impeto, sa essere incalzante e modulato per avere un impatto immediato, nonostante si produca in tante piccole variazioni che lo rendono vivace e mai monocorde. Lungi dal voler lanciarsi in progressioni e tecnicismi fuori dalla logica del progetto, le lunghe tracce vanno ramificandosi ognuna in un mood diverso, annoverando una serie di soluzioni piuttosto ampia, attingente a un bagaglio di conoscenze che guarda sia agli anni ’90 del metal estremo che ai suoi sviluppi più recenti.
Da una parte, infatti, abbiamo il gusto per la melodia negativa, spoglia, commiserevole di certo suicidal black metal (nient’affatto peregrini i paragoni con primi Forgotten Tomb e Shining svedesi), dall’altra vi è la tentazione a insistere nel chitarrismo stordente, inumano, asfissiante del funeral e del death-doom degli anni recenti. Le aperture più avvolgenti e ‘leggere’ non si fanno problemi a incorporare melodie taglienti e inebrianti che possono ricordare, vagamente, quanto espresso dal black metal polacco degli ultimi anni. E c’è pure tanto, tantissimo doom metal classico, inteso nella sua accezione ottantiana e rivolta a un classic metal di grana fine, per le sottolineature soliste e tutte quelli piccole variazioni che servono a dare espressività e vigore allo strumento. Profondità, intellegibilità delle armonie e un dipanarsi delle stesse esteso e nient’affatto prevedibile sono ciò che eleva il potenziale dell’album, lo rendono criptico e tenebroso ma anche molto musicale, non un semplice esercizio di tortura e stordimento, come può accadere in ambiti simili. Dal martellamento quasi catchy della titletrack alle ampie digressioni in atmosfere comatose e, a modo loro, gotiche, dell’opulenta – per lunghezza e ricchezza di contenuti – “The Five Steps To Death”, il gruppo riesce a dare un senso a tutta l’attesa fatta sopportare ai loro fan per il nuovo album: non tutto il male viene per nuocere. O forse sì?