MOURNING DAWN – The Foam Of Despair

Pubblicato il 09/01/2024 da
voto
7.5
  • Band: MOURNING DAWN
  • Durata: 00:52:18
  • Disponibile dal: 12/01/2024
  • Etichetta:
  • Aesthetic Death

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Avida di sofferenza e di tutti i suoi nefasti effetti, la creatura a nome Mourning Dawn del musicista francese Laurent Chaulet fa di tutto per dare un’interpretazione della negatività il più ampia e dettagliata possibile, eludendo eccessivi formalismi e non uniformandosi troppo facilmente ai canoni del genere di appartenenza.
In questi anni i Mourning Dawn hanno rappresentato, assieme ai colleghi e connazionali Funeralium e Ataraxie (nei primi, Chaulet e il bassista Vincent Buisson hanno militato per brevi periodi), un modo tutto francese di comunicare ansie e prostrazione. In tutte e tre le band citate è percettibile un’intossicata cattiveria di fondo che su tonalità doom, dalle variegate gradazioni di black, death e doom, si coniuga solitamente o attraverso una severa eleganza, oppure una schietta e asfittica brutalità, se non tramite una solennità quasi sacrale. Per questi tre gruppi la questione è differente: c’è un malessere indotto da fatti di vita che si esplica in una rabbia virulenta, sordida, cruda e senza speranza.
A un tale cocciuto sentimento di fondo, i Mourning Dawn hanno finora contrapposto un eclettismo a tratti fin disorientante: date le predette tematiche, ci si aspetterebbe una musica incanalata su costrutti più monolitici e fissi, mentre la realtà dei loro album ci parla di una diversificazione molto forte all’interno delle tracklist, di sonorità nitide e dettagliate, orientamenti melodici che vanno dalla fredda spietatezza, a un’evocatività malinconica che suona quasi malsana, considerato il morboso pessimismo generale.
Le tonalità grigio/biancastre dell’artwork di “The Foam Of Despair” lascerebbero trapelare l’idea di un nuovo cambio di scenario per Chaulet e i suoi sventurati compagni di brigata, ed è in effetti un’intuizione che trova corrispondenza negli accadimenti musicali. Mai avari di melodia e di costruzioni cangianti, questa volta i Nostri hanno approfondito ulteriormente i propri arrangiamenti, assecondando la volontà di spaziare in atmosfere ondivaghe e umorali, che non si possano comprendere in pochi ascolti e offrano interpretazioni ambigue di quanto suonato.
L’indirizzo lievemente più scorrevole e meno ostile, pur all’interno di un canovaccio dove la disperazione del titolo emerge nitida in modo naturale ed eloquente, lo si coglie fin dalla traccia di apertura, “Tomber du Temps”. A collegare con plateale asprezza l’ultimo nato con i nefasti capitoli precedenti è la voce rancorosa di Chaulet, un misto di latrati depressive black metal e più tetre linee death-doom, interprete perfetto per una musica fatta di tanti strati ma nel suo midollo brutalmente istintiva. Il chitarrismo del leader artistico e spirituale dei Mourning Dawn è anche stavolta l’elemento di massima caratterizzazione e, come anticipato, prova ad amalgamare tante differenti interpretazioni del malessere in note.
Un raffinamento nei suoni e nell’approccio fa sì che l’impasto di black, death e doom vada ad aprirsi a melodie più ariose, suggestionando per via di un respiro quasi ‘katatonico’ – da intendersi con uno sguardo privilegiato al periodo di “Brave Murder Day” e “Discouraged Ones”. Un taglio relativamente agile che può anche ricordare, seppur più vagamente, alcune cose dei Novembre, solo intossicati di un tocco malvagio e perverso che, nel caso della formazione francese, di andarsene completamente non ne ha proprio voglia. Neanche quando le formule si fanno compatte e ad alto potenziale di suggestione, come in “Blue Pain”, costruita per essere una specie di singolo e di ‘bigino’ buono per essere apprezzato anche da ascoltatori non così avvezzi a suoni ruvidi e ‘evil inside’ come quelli dei Mourning Dawn.
Nutrita la platea degli ospiti, e sono tutti contributi che danno un loro sostanziale apporto alle tracce dove sono chiamati in causa: ecco allora la piega sinistramente melliflua dell’opener, traghettata al suo approdo conclusivo dal sax di Adrien Harmois; oppure le ottime incursioni elettroniche e il feeling trip-hop di “Suzerain” (ad opera dell’ospite A.K.), un incastro splendidamente orchestrato e foriero di atmosfere sofisticate quanto basta per dare nuovo slancio al doom estremo dei quattro.
Lo sforzo per dare identità univoca a ogni episodio non si ferma qua, Chaulet è songwriter di acclarata competenza e sa osare con misura: i chiaroscuri della sua chitarra e la varietà delle linee vocali, con ampio ricorso a parti parlate instillanti desolato grigiore, permeano di drammaticità ogni momento del disco, che trasuda ancora una volta la rabbia di chi ha subito troppi torti, troppe frustrazioni, e non ha altro modo per reagire che convogliare i suoi sentimenti negativi in musica. La pulizia di alcune melodie sa essere però un ruggito di indomita vitalità, come quelle che si stagliano in “Borrowed Skin”, a contrasto delle strofe più irrequiete del brano.
Una verve ritmica di un certo mordente e una produzione di alto livello mettono gli ultimi tasselli a un album intrigante, per come riesce a rimescolare influenze e costrutti già noti, aggiungendovi nuove interpretazioni e soluzioni inedite. Un inizio dell’anno musicalmente uggioso come il tempo atmosferico fuori dalle nostre porte.

 

TRACKLIST

  1. Tomber du temps
  2. Blue Pain
  3. Borrowed Skin
  4. Apex
  5. Suzerain
  6. The Color of Waves
  7. Midnight Sun
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