7.0
- Band: MOUTH OF THE ARCHITECT
- Durata: 00:44:07
- Disponibile dal: 10/07/2016
- Etichetta:
- Translation Loss
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È uno spirito decisamente diverso dal solito quello che anima questo nuovo lavoro dei Mouth Of The Architect, passati indenni attraverso lo split con il chitarrista/cantante Kevin Schindel e un paio d’anni di lontananza dalle scene. In questo nuovo “Path Of Eight” il “post” metal sound del gruppo statunitense si asciuga, dà spazio a nuovi influssi ed esalta al massimo la propria componente melodica, facendo leva soprattutto su un gran lavoro di arrangiamenti e su una produzione che rimanda molte volte a sonorità seventies e space rock, in cui tastiere ed effettistica non fanno mai mancare il loro apporto. L’aspetto live per i Mouth Of The Architect è sempre stato importante: i loro concerti sono ricchi di passione, sudore ed interazione con il pubblico; ecco che forse l’idea di catturare quell’energia e di poter contare su del materiale più snello e diretto potrebbe aver animato la creazione di questo nuovo album. Arie di cambiamento erano già ampiamente rintracciabili sul precedente “Dawning”, ma è con “Path of Eight” che la band prova definitivamente a voltare pagina, esprimendosi tramite una sorta di alternative/prog metal magniloquente e molto armonioso, che in un paio di circostanze riesce pure a sfoderare dei chorus da cantare a squarciagola. Quando il mood si fa più rarefatto o malinconico si tende come al solito ad accentuare il tono teatrale della proposta, ma i Mouth Of The Architect di oggi sembrano comunque più inclini a venire subito al sodo e a spingere più in alto il livello euforico e di potenza sonora. Insomma, meno Isis e più Baroness, ultimi Katatonia e – per quanto riguarda certe atmosfere – King Crimson. Non tutti gli episodi centrano il bersaglio (vedi “The Priestess”, la cui voce femminile non sembra andare del tutto d’accordo con il carattere del materiale), tuttavia si può dire che la scelta dei ragazzi dell’Ohio sia stata messa in atto in modo consapevole, evitando di snaturare troppo la loro classica essenza. Niente sbandamenti propriamente radiofonici, ma una necessità di esplorare formule nuove e di avvicinarsi alla classica forma canzone, per un risultato finale tutto sommato gradevole.