6.5
- Band: MUTAGENIC HOST
- Durata: 00:41:06
- Disponibile dal: 03/01/2025
- Etichetta:
- Dry Cough
- Gurgling Gore
- Memento Mori
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A due anni di distanza da “The Genotoxic Demo”, i Mutagenic Host si rifanno avanti con “The Diseased Machine”, primo full-length che ne consolida il nome all’interno di quel vivaio di giovani formazioni britanniche intente a tenere alta la bandiera del death metal più concreto e ruspante.
Musicisti a cui non interessa rielaborare le trame del genere con il piglio occulto e fumoso di vicini di casa come Grave Miasma e Lvcifyre, optando invece per un taglio grasso, lineare e senza fronzoli che non può fare a meno di tradire un certo retaggio hardcore e thrash metal, il quale viene poi riversato in una serie di riff e soluzioni pensati per innescare una risposta fisica da parte dell’ascoltatore.
Licenziato da una piccola coalizione di label underground, composta da Memento Mori, Gurgling Gore e Dry Cough, il disco si fa quindi portavoce di una proposta all’apparenza semplice e scontata, ma che in realtà – per essere davvero efficace e non girare a vuoto su sé stessa – necessita giocoforza di un’appropriata comprensione delle dinamiche, di un senso del groove che non si limiti a percuotere ma a costruire, innervando i brani di quella tensione indispensabile per la massima resa dei breakdown e delle successive ripartenze.
Tutto ciò, per fortuna, la band di Londra sembra averlo colto e interiorizzato a dovere, dimostrandosi già superiore agli arrembanti ma ingenui Celestial Sanctuary e rendendosi protagonista di una tracklist in cui Obituary (specie quelli più asciutti e stradaioli di lavori come “World Demise” e “Back from the Dead”), primi Dying Fetus e All Out War fungono da principali numi tutelari della narrazione, il cui sviluppo, per quanto ignorante e pachidermico, svela presto una costruzione attenta e una verve che impedisce ai brani di incorrere nel tedio.
I Nostri non sono ovviamente dei geni del death metal, ma sanno come impilare i riff e conferire alla loro musica un incedere fluido e vitale, strappando un ghigno di approvazione fin dall’opener “Neurological Necrosis” e insistendo sulla medesima riga per i successivi quaranta minuti dell’album, colonna sonora pressoché perfetta per una giornata iniziata storta o per una sessione di allenamento in palestra.
Persino la componente sci-fi, evocata sia dall’artwork che dai sample disseminati qua e là, dimostra di non essere totalmente raffazzonata o ‘buttata lì’, colorando l’ascolto e riuscendo (a tratti) a conseguire una profondità curiosa in mezzo a tante bastonate, come dimostrato anche dal finale epico-cinematografico di “Rivers of Grief”, strumentale che suggella “The Diseased…” in un clima di decadenza post-apocalittica non troppo distante da quella dei Fear Factory degli anni Novanta.
Per chi ai blast-beat preferisce il mosh, o per coloro che non badano troppo alle distinzioni fra old-school e moderno nel vasto mondo del death metal, l’esperienza varrà probabilmente il tempo investito.