7.5
- Band: MY DYING BRIDE
- Durata: 00:49:26
- Disponibile dal: 01/01/1992
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Self
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Dopo l’esordio discografico su Peaceville, con l’EP “Symphonaire Infernus Et Spera Empyrium”, il 1992 vede i My Dying Bride debuttare anche su full-length, tramite l’ormai antico “As The Flower Withers”. Album antico, d’accordo, e soprattutto imbastardito da una produzione non all’altezza, ma tuttora più che attuale e foriero di spunti ben riscontrabili in parecchia produzione doom d’oggigiorno. Sarebbe sbagliato, però, classificare questo disco soltanto in ambito doom, in quanto la forte influenza che il death americano – soprattutto Morbid Angel e Death – aveva allora sui Bride è certo rintracciabile nei solchi del disco. Infatti, alternate alle classiche pennellate decadenti e in slow-motion della band di Bradford, troviamo altrettante sezioni veloci ed arrembanti, pregne di malsano putridume ed efferatezza death. Aaron interpreta i brani esclusivamente in growl, con la sola eccezione del finale di “The Return Of The Beautiful”, mentre le originali partiture di violino sono il tocco in più che riesce a dare classe e nobiltà ad un lavoro per il resto molto grezzo e ‘diretto’. L’inquietante strumentale “Silent Dance” apre le danze in modo morboso, simile per certi versi alle intro dei Cradle Of Filth, ma privata della boria grandguignolesca della band di Dani Filth. La lunga “Sear Me” è il primo brano storico del gruppo, tanto che verrà ripreso più volte nel corso della carriera e stravolto in diverse versioni: il pezzo è magnifico ed il testo in latino – sebbene pronunciato all’inglese, quindi un po’ ridicolo da sentire – dona una cupa atmosfera a tutta la traccia. Segue “The Forever People”, episodio che ancora oggi chiude degnamente i concerti del gruppo, una death metal song con innesti doom che certamente va ad occupare uno dei posti in vista fra le composizioni più violente dei My Dying Bride. “The Bitterness And The Bereavement” e “Vast Choirs” si assomigliano abbastanza, due lunghi brani che ondeggiano tra incedere melodici e pesantemente doomy e ferali accelerazioni death, sempre ammorbate dal growl aspro e vomitevole di Aaron; l’atmosfera di dolore e dannazione è alta in questi momenti, liricamente sempre a cavallo tra Bene e Male, senza mai dare all’ascoltatore la possibilità di totale comprensione se la band sia devota al Credo oppure blasfema nel suo renderlo vulnerabile alle forze maligne. La suite di tredici minuti “The Return Of The Beautiful” rappresenta infatti la summa del lirismo di un primitivo Aaron, epica e drammatica narrazione della lotta tra Dio e Satana per la conquista carnale di Madre Natura, ovviamente con finale ambiguo e sinistro. Chiude i giochi l’ottima “Erotic Literature”, anch’essa, come “The Forever People”, condotta prevalentemente su ritmiche death, salvo poi rallentare a centro traccia per uno stacco doom imponente. Un primo album, quindi, assolutamente di valore, forse poco considerato se messo in confronto con la produzione immediatamente posteriore dei Bride, ma che di sicuro è in grado di coinvolgere gli amanti del doom più orientati verso il death. Marcio, proprio come un fiore che appassisce…