7.0
- Band: MY DYING BRIDE
- Durata: 01:27:11
- Disponibile dal: 30/05/2011
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Audioglobe
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Vent’anni di My Dying Bride. Per l’esattezza ventuno, considerato che la band è stata fondata nel 1990 dal vocalist Aaron Stainthorpe, dai chitarristi Calvin Robertshaw e Andrew Craighan e dal batterista Rick Miah. Dopo un breve passaggio alla Listenable Records, ecco il deal pluriennale – sicuramente fra i più longevi della storia dell’heavy metal – con la Peaceville Records e l’inizio di una storia sì decadente, macabra e morbosa, ma anche pregna di quella romantica e poetica gloria che solo i fuoriclasse del doom-gothic metal sanno trasporre nelle loro composizioni. E quindi, come festeggiare al meglio un anniversario così imponente? Ebbene, ci fa sapere direttamente Aaron attraverso le eleganti pagine del booklet del qui presente “Evinta”, che un tale progetto – la rivisitazione lirico-sinfonica di alcune delle strutture musicali più care e note del gruppo albionico – era in cantiere da ben quindici anni, accantonato di volta in volta e perpetrato nel tempo; fino ad ora, quando il ventennale da omaggiare ha reso congrua l’occasione. “Evinta”, doppio disco che raggiunge la durata di un’ora e mezza, ovviamente impegnativo da assorbire e assolutamente sconsigliato a chi già mal sopporta i lamenti di Aaron in versione metallica. Come specificato sopra, non abbiamo parlato apposta di ‘brani rivisitati’, bensì di ‘strutture’: infatti “Evinta” è da prendere in tutto e per tutto come un nuovo disco dei My Dying Bride, compresi i titoli nuovi delle canzoni e i testi nuovi scritti ad hoc. Con l’aiuto della mezzosoprano Lucie Roche, di un violoncellista e di una violista esterni alla formazione, i Bride hanno scavato nella loro discografia cercando e analizzando quali potessero essere le composizioni maggiormente adatte a questa rielaborazione, per poi mischiarle fra loro, riarrangiarle superbamente per in prevalenza pianoforte, archi, synth e tastiere e dandole un epico tocco orchestrale, in modo da creare un mondo parallelo – ben più delicato e sognante, ma altrettanto corroso – al loro putrescente universo moribondo. E così, fra un recitato solenne di Aaron e i gorgheggi della Roche, ecco spuntare dal passato le note melodie di brani quali “For You”, “For My Fallen Angel”, “Bring Me Victory”, “She Is The Dark” e…no, onestamente “The Cry Of Mankind” non l’abbiamo sentito, ci spiace, ma potrebbe pure essere nascosto tra note che sembrano tutt’altro. Ottime, per quanto ci riguarda, le parti dove il pianoforte si fonde col violino e le keys per dipingere cornici malinconiche di dolore e rassegnazione (“The Distance, Busy With Shadows” è di un paio di spanne l’episodio più riuscito, la cui parte centrale è veramente commovente); scarsine e palesemente pesanti, invece, alcune soluzioni ambient ad oltranza scelte, come ad esempio le conclusive “A Hand Of Awful Rewards” e “And Then You Go”, che poste lì al termine paiono mattonate di piombo. Coraggio, gusto, classe ed esperienza, comunque, sono fuori discussione quando si parla della Sposa Morente: aggiungete a ciò un booklet curatissimo, liner notes per ogni album pubblicato redatte da Aaron e un bel photoset con qualche immagine inedita del tempo che fu. Se siete fan del gruppo, celebrare i suoi vent’anni è quasi d’obbligo. Nell’attesa del nuovo disco, già in (de)composizione, un antipasto diverso e prelibato.