7.5
- Band: MY DYING BRIDE
- Durata: 01:02:51
- Disponibile dal: 18/09/2015
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Audioglobe
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Nell’anno del definitivo ritorno dei Paradise Lost ad uno stile legato ai loro esordi death & doom, i My Dying Bride, da sempre ben più costanti e lineari nelle loro produzioni (ad eccezione del famigerato “34.788%… Complete”), non potevano fare a meno di rispondere ai loro amici con l’ennesima prova decadente e mortifera. Tolti alcuni recenti EP un poco più “sperimentali”, da ormai diversi anni la proposta della Sposa Morente è sempre ampiamente ascrivibile a quel filone gothic-doom che essa stessa ha contribuito a fondare e a divulgare. Il gruppo non vuole più spiazzare i propri fan e alla base di ogni album dell’ultimo decennio abbondante pare in effetti esserci il concetto di solidità: affidarsi a formule collaudate, fare ció per cui si è da sempre noti e, soprattutto, farlo nel migliore modo possibile. “Feel The Misery”, l’album che ufficializza il ritorno in formazione dello storico chitarrista Calvin Robertshaw, non poteva rivelarsi un’eccezione a questa regola. Un ascolto sommario basta a svelare tutti gli elementi e le qualità dell’opera: siamo davanti all’ennesimo, elegante, sunto del My Dying Bride pensiero. “And My Father Left Forever” apre la cerimonia con trame dall’incedere agile e arrangiamenti snelli, quasi a volersi ricollegare ad un disco come “Like Gods Of The Sun”. “To Shiver in Empty Halls” e “A Cold New Curse” tuttavia spostano subito il tiro verso soluzioni più gravi e articolate, le stesse che la band ha riscoperto ed esplorato con i recenti e pluri premiati “Songs of Darkness, Words of Light” o “A Map of All Our Failures”. La lunga e conclusiva “Within a Sleeping Forest” è poi la classica vera perla per cosiddetti nostalgici dei tempi d’oro: le cadenze sacrali, l’alternanza tra growl e voce pulita e il riffing di chitarra squisitamente doom non potranno lasciare indifferenti gli ascoltari più legati alle sonorità degli esordi. Tutto sommato, va sottolineato come la tracklist cali leggermente di intensità nella parte centrale, finendo cosí solo per lambire le vette del precedente “A Map…”, ma ció non va comunque a scalfire più di tanto l’efficacia complessiva del lavoro. Ancora una volta si sente come Aaron Stainthorpe, Andrew Craighan e i loro compagni abbiano messo tutto loro stessi in questa musica e nemmeno per un secondo si ha la percezione che il gruppo abbia impostato il cosiddetto pilota automatico. Colpi di classe clamorosi come la filastrocca nel finale della succitata “To Shiver…” o la ballad “I Almost Loved You” sono qui a dimostrarlo: i My Dying Bride non hanno alcuna intenzione di sottovalutare gli impegni o di lasciare ad altri le redini di questo movimento.