7.0
- Band: MY DYING BRIDE
- Durata: 00:21:56
- Disponibile dal: 20/11/2020
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Finalmente buttatosi alle spalle il periodo nero di quasi inattività, dovuto alla grave malattia (superata) che colpì qualche anno fa la piccola figlia di Aaron Stainthorpe, i My Dying Bride sono tornati nel 2020 a pieno regime con un nuovo disco, “The Ghost Of Orion”, non scevro da difetti ma comunque dotato di un due-tre ottimi pezzi e mostrante tutto sommato un gruppo in forma e capace ancora di rendere vivi quei sentimenti innati che poche formazioni come loro sanno trasmettere. E, come ogni buona rinascita che si rispetti, i Bride tornano puntuali, a poca distanza dal full succitato, con un freschissimo EP di inediti, tre tracce, portante il teatraleggiante titolo di “Macabre Cabaret”.
Sappiamo molto bene come gli albionici abbiano nel DNA la produzione di interessanti EP, quasi sempre riuscitissimi e che per la maggior parte possono essere considerati alla stregua, soprattutto qualitativa, dei loro stessi album sulla lunga distanza: basti ricordare l’importanza degli ormai antichi “Symphonaire Infernus Et Spera Empyrium”, “The Thrash Of Naked Limbs” e “I Am The Bloody Earth”, oppure la brillantezza dei più recenti “The Barghest O’ Whitby” e “The Manuscript”. Ebbene, anche “Macabre Cabaret” si assesta su livelli medio-soddisfacenti tra la più giovane discografia del gruppo, e probabilmente troverà estimatori anche tra coloro che hanno criticato negativamente “The Ghost Of Orion”, ma dobbiamo ammettere che, di contrasto ad un primo momento di notevole esaltazione, la fruizione continuata del lavoro ne abbassa progressivamente l’appeal e la percezione. Insomma, andare oltre ad un onesto sette pieno, questa volta, è difficile.
Di buono, anzi buonissimo, in “Macabre Cabaret”, c’è che i tre episodi sono diversissimi tra loro e che riassumono in poco meno di ventidue minuti una bella fetta di carriera ed attitudine degli ultimi My Dying Bride: certo, l’approdo in Nuclear Blast, la voce molto in primo piano e stratificata e la pulizia dei suoni auscultabile nelle ultime release fa quasi completamente dimenticare il marciume e la corruzione d’animo che albergava in Aaron e soci nei Nineties, ma ci pare giusto anche accontentarci, dopo trent’anni, ormai, di onoratissima storia. La decadenza melanconica, la tristezza del vivere, l’oppressiva pesantezza di un’esistenza trascinata: ecco, questi concetti crediamo siano indivisibili da una composizione targata MDB, poco da farci.
Si parte dunque con la titletrack, episodio di dieci minuti che ricalca parecchio quanto espresso in “The Ghost Of Orion”, soprattutto nelle tracce più lunghe e progressive: i primi tre minuti e venti secondi sono eccezionali, con un incedere di riff, groove e melodie vocali tra l’epico ed il nostalgico, quel tipo di materiale che a gente come Andrew Craighan riesce di comporre ad occhi chiusi e che però non ci basta mai; peccato che dopo, nel restante minutaggio, la band si areni e si perda in un saliscendi atmosferico poco incisivo ed impattante, nel quale nè il basso di Lena Abè, piuttosto in vista in questa canzone, sebbene di una semplicità disarmante, nè l’apporto di Shaun MacGowan sembrano dare quel tocco in più al brano per restare memorabile anche sul lungo periodo. Si va meglio con la seconda “A Secret Kiss”, possente traccia dall’incedere classicamente doomy e brideiano, in cui Aaron alterna magistralmente pulito e growl (“Awake! Wide awake!”) imbestialendosi su un riffone tanto sinistro quanto da headbanging, mentre le chitarre di Andrew e Neil Blanchett (quest’ultimo alla sua prima apparizione in studio) tornano protagoniste e martellano pesantemente le tempie con sottili melodie. Chiude i giochi “A Purse Of Gold And Stars”, dall’atmosfera ancora completamente diversa, pezzo nella sua interezza pacato e giocato sul pianoforte e le tastiere di MacGowan e, ovviamente, sul recitato espressivo ed unico di Stainthorpe; notturno, cupo, delicato, profondo, tale brano quieta gli animi e li accompagna con mestizia e torpore fuori dal mondo My Dying Bride, per un risveglio nella realtà forse amaro e non voluto, ma consapevoli di aver passato dell’ottimo tempo in compagnia di vecchi spettri amici, che ogni tanto vengono a trovarci facendo sentire la loro rassicurante presenza.
Non essenziale, probabilmente solo piacevole – e che bell’artwork! – ma sempre di My Dying Bride si tratta.