7.5
- Band: MY DYING BRIDE
- Durata: 00:27:04
- Disponibile dal: 07/11/2011
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Audioglobe
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“For Lies I Sire” – ultimo full-length album regolare pubblicato dai My Dying Bride ad oggi – risale ormai al 2009, quasi più di due anni fa. In parte ancora scottati dall’abbandono non gradito della violinista Katie Stone, in parte in formazione poco stabile a causa della mancanza di un batterista fisso e dell’assenza delle tastiere di Sarah Stanton, ed infine in parte evidentemente volenterosi di comporre ed editare musica in diverse forme, i doomster albionici hanno finora posto sul mercato nell’ordine: l’EP-singolo “Bring Me Victory”, con qualche cover annessa; il full sperimentale “Evinta”, contenente rifacimenti symphonic-ambient di alcune loro melodie storiche; l’EP in questione, “The Barghest O’ Whitby”, release di una sola, ventisette minuti lunga, traccia. Tralasciando la futile domanda ‘a quando un disco effettivamente nuovo e corposo?’, ci concentriamo quindi su questa uscita, ottima sotto quasi tutti gli aspetti, perfino dal punto di vista della produzione, lasciata crediamo volontariamente parecchio più underground e rozza rispetto alle ultime ascoltate. La figura del barghest – un spettro oscuro, decadente e mostruoso, che prende forma in un essere ibrido, tra cane e lupo, dai lineamenti distorti e demoniaci – è nota certamente ai più accaniti giocatori di ruolo, così come agli appassionati Dracula-dipendenti…oppure agli abitanti dello Yorkshire, da dove putacaso provengono i Bride e dove il mito del barghest pare avere natali. Come prevedibile, dunque, la storia narrata nell’unica canzone dell’EP è ispirata a questa creatura e contiene in essa tutti gli elementi che hanno portato Aaron e compagni ad essere ancora, dopo ventun’anni di vita, padroni assoluti di un modo magico di intendere il doom-death metal. In “The Barghest O’ Whitby” troverete qualsiasi elemento associabile alla band, con l’esclusione delle keyboards, non utilizzate: il violino del nuovo arrivo Shaun MacGowan pennella affreschi al solito dolciastri e sinistri; ci sono i riff minacciosi, serrati e sporchi, accompagnati dal growl marcio di Aaron Stainthorpe; c’è l’incedere doom melodico, lento e ostinato, che rallenta il respiro e stringe in una morsa il cuore; ci sono le melodie romantiche e commoventi che fanno intravedere il Sole tra le dense nebbie della brughiera anglosassone; e c’è tutta la drammatica epicità di una formazione che è letteralmente nata con questo sound addosso e non riesce proprio a staccarsene. Non solo per fan, ma anche per chi vuole comprendere una carriera monumentale in poco meno di mezzora. Massimo rispetto.