MY DYING BRIDE – The Ghost Of Orion

Pubblicato il 04/03/2020 da
voto
7.5
  • Band: MY DYING BRIDE
  • Durata: 00:56:21
  • Disponibile dal: 06/03/2020
  • Etichetta:
  • Nuclear Blast
  • Distributore: Warner Bros

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Settembre 2015, esce “Feel The Misery”, dodicesimo album in studio dei My Dying Bride ed ennesimo centro di una carriera fino allora irreprensibile e stolidamente ancorata, seppur minacciata da svariati cambi di formazione, a molteplici punti fermi, certezze e riferimenti immutabili in venticinque anni di carriera. Nessuno, cinque anni fa, si sarebbe potuto immaginare le peripezie a cui la band dello Yorkshire sarebbe dovuta andare incontro nel lustro successivo, quello che ha portato i Bride fino a qui, nel marzo 2020, quando infine il nuovo e tredicesimo full-length, “The Ghost Of Orion”, vede la luce.
Un disco che, come mai successo nella storia della Sposa Morente, va ad incastonarsi in un unicum temporale di rare novità in seno alla band: primo lavoro edito al di fuori del roster della Peaceville Records, dopo ventinove anni di cooperazione da guinness dei primati; primo lavoro senza lo storico producer Mags in cabina di regia; primo lavoro fuori, dunque, per il colosso Nuclear Blast, con il quale Aaron e soci vogliono cercare, parole loro, di portare il gruppo su di un altro livello, rendendolo (vagamente) più accessibile; primo lavoro composto esclusivamente, in piena solitudine, dal chitarrista Andrew Craighan, uno dei geni meno riconosciuti e uno dei riffmaker più sottovalutati dell’intera scena metallica. Primo lavoro, infine, approcciato, pensato, composto, registrato e promosso con alle spalle un periodo davvero difficile, culminato, un paio d’anni fa, con il possibile scioglimento della band. La gravissima malattia della piccola figlia di Aaron Stainthorpe, che ha assorbito del tutto e quasi distrutto la vita di uno dei frontman più sinceri e genuini che il doom metal abbia mai avuto; l’abbandono improvviso e senza alcun preavviso di Calvin Robertshaw, il chitarrista fondatore, assieme a Stainthorpe e Craighan, tornato all’ovile nel 2014 e poi scappato di nuovo; lo split poco amichevole, poco prima di entrare in studio di registrazione, con il batterista Shaun Taylor-Steels, sostituito quasi per caso con l’ex Paradise Lost Jeff Singer, presente in studio nei giorni in cui i Bride vi entravano per preparare i lavori; mettiamoci anche la maternità della bassista Lena Abé, giusto per rimarcare il lavoro mostruoso di Craighan in fase di songwriting, a mo’ di one-man-band.
Ecco, tale lungo preambolo di presentazione a “The Ghost Of Orion” per farvi meglio capire come si è arrivati ad un lavoro che, pur sanguinando note Brideiane dalla prima all’ultima, potrà risultarvi quasi innovativo e mai sentito nel computo totale della discografia dei Nostri. Si è parlato innanzitutto, subito dopo aver ascoltato i due singoli proposti in anteprima – l’opener “Your Broken Shore” e la magnifica “Tired Of Tears” – della voce di Aaron, molto diversa dal solito. Proprio lo stesso frontman ne parla in sede di note biografiche: per lui registrare “The Ghost Of Orion” è stato un calvario, costellato di errori, take riprese mille volte, giorni persi su una sola canzone… Il risultato finale, ovvero le linee vocali più melodiche e cariche di sovraincisioni (perlomeno in una parte delle canzoni presenti in tracklist) della carriera della band, è sotto gli occhi e le orecchie di tutti. Noi le troviamo semplicemente incantevoli, ma ad ognuno il suo sacrosanto parere. Quello che però ci teniamo a far passare, della nostra analisi di questo disco, è che si tratta di un album atipico per i My Dying Bride per un motivo principale: non è omogeneo, non è lineare, pare quasi diviso in atti teatrali ben distinti, non sappiamo quanto volutamente.
La Nuclear Blast sarà certamente soddisfatta, infatti, del primo blocco di brani della tracklist, un trittico di tracce molto melodiche, orecchiabili, dolcissime e amarissime, in cui sentimenti tragici e strazianti si mescolano amabilmente, con il savoir-faire immenso della band tutta, alla nostalgica commozione che sale come groppo in gola all’ascolto di un capolavoro assoluto quale “Tired Of Tears”, ad esempio, scritto da Aaron a mo’ di ricordo e purificazione dal periodo di tragedia vissuto con la malattia di sua figlia, fortunatamente conclusosi con un lieto fine. Il ripetersi di riff struggenti di chitarra, assoli e parti di violino non fa altro che farci immedesimare nel cantante stesso e ci prostra in un dolore condiviso ed universale che poche band sanno trasmettere così lucidamente. “Your Broken Shore” e “To Outlive The Gods”, soprattutto la prima, ricalcano più o meno lo stesso concept stilistico, ipnotico, mesmerizzante, fiondante i sensi in un torpore lentamente estatico.
All’improvviso, poi, i britannici piazzano nel bel mezzo della tracklist un episodio completamente fuori dai loro usuali schemi, che forse avrebbe trovato sicuro posto in una delle loro pubblicazioni collaterali, un EP o un disco ‘diverso’, come fu “Evinta” ad esempio. “The Solace”, già dal titolo, stranamente solare, è in effetti una composizione per chitarra e voce femminile, interpretata magistralmente da Craighan e da Lindy-Fay Hella dei norvegesi Wardruna, a cavallo tra un inno nazionale britannico – scegliete voi se quello inglese, quello scozzese o quello irlandese – Enya e i The Cranberries più emozionali. Pare una bestemmia, sì, ma ascoltate e poi ci direte. Comunque molto intenso e riuscito.
E da qui, procedendo nella seconda parte del lavoro, si torna quatti quatti nella depressione standard dei My Dying Bride, che però porta – sicuramente per alcuni, ma per altri sarà il contrario – ad un flemmatico calo d’entusiasmo e d’emotività, aiutato anche dalla lunghezza e dalla complessità dei due episodi progressivi dell’album, “The Long Black Land” e “The Old Earth”, lunghi dipanarsi di strutture doomish e crescendo marcescenti che necessitano di diversi ascolti prima di adagiarsi positivamente nei nostri padiglioni auricolari. Certo è che però gli arpeggi iniziali di “The Old Earth”, la linea vocale di Aaron e la seguente esplosione del primo riff portante sono di rara potenza evocativa ed epicità, uno dei momenti più alti di tutto il lavoro. Riempiono i vuoti e spezzano la doppia processione dei due brani da oltre dieci minuti, due tracce invece molto brevi, quasi degli intermezzi interlocutori: la titletrack gioca tutte le sue carte sui sussurri terrificanti di Aaron che accompagnano un altro paio di discreti arpeggi; la conclusiva “Your Woven Shore” è ancora interpretata da Lindy-Fay Hella, guidata dal cupissimo librarsi di un violoncello (suonato dall’ospite Jo Quail) che, per questo disco, a tratti ruba la scena al violino di Shaun MacGowan, incisivo solo in qualche importante frangente ma per il resto per nulla indimenticabile.
Secondo noi, in definitiva, “The Ghost Of Orion” è un lavoro che potrà dividere i fan: chi non amerà le concessioni melodiche poste in apertura sarà probabilmente disposto a criticare il gruppo; chi le adorerà, forse rimpiangerà il non averle sentite protratte per tutto l’album. Noi molto sinceramente ci mettiamo tra il secondo gruppo, ma ciò non deve interessare più di tanto. L’importante è gioire, con moderazione, per il ritorno in pista di una formazione che continua a proporre musica di altissimo livello e profondità, arrivando ai propri trent’anni d’esistenza con miriadi di cicatrici sulla pelle, ma restando integra, integerrima ed apocalittica nei propri intenti.

 

TRACKLIST

  1. Your Broken Shore
  2. To Outlive The Gods
  3. Tired Of Tears
  4. The Solace
  5. The Long Black Land
  6. The Ghost Of Orion
  7. The Old Earth
  8. Your Woven Shore
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