9.0
- Band: MY DYING BRIDE
- Durata: 01:11:11
- Disponibile dal: 01/01/1999
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Venus
Spotify:
Apple Music:
Di vero e proprio ‘ritorno alle radici’ si tratta “The Light At The End Of The World”, sesto album dei My Dying Bride pubblicato ad appena un anno di distanza dal precedente lavoro. L’effetto boomerang di “34.788%…Complete”, il nuovo intoppo per l’assenza di un batterista e la fuoriuscita dal gruppo del chitarrista storico Calvin Robertshaw – probabilmente il più artefice del rischioso esperimento passato – fa decidere Aaron e restanti compagni per un nettissimo dietrofront, proteso direttamente agli esordi del combo, essendo questo disco l’incrocio preciso delle sonorità di “As The Flower Withers” e “Turn Loose The Swans”: ripristino della voce growl, recupero del vecchio logo, artwork infernale e drammatico, ritorno a partiture anche death metal e pochissimo uso di soluzioni acustiche e/o dark; i ragazzi vogliono risultare più metal e oscuri possibile e diciamo tranquillamente che ci riescono in maniera splendida. Le critiche per un evidente rifiuto alla sperimentazione sono probabilmente giustificate, ma “The Light At The End Of The World” non è una mera copia di quanto fatto ad inizio carriera, bensì la semplice ripresa (e conseguente sviluppo) di strade abbandonate forse troppo repentinamente. L’apertura di “She Is The Dark” è fenomenale, traccia completa, decadente ed aggressiva, che si va ad innalzare fra le migliori all-time songs dei Bride, death-doom metal della miglior specie. I pezzi si allungano di nuovo e composizioni quali “Edenbeast”, “Christliar” e la particolare title-track permettono ai britannici di rinverdire la tradizione che li associa a lentezza esecutiva e morbosa atmosfera. Stupisce la violenza con pochi compromessi di “The Fever Sea”, nella quale terremoti death si stringono attorno a riff cadenzati e sinistri, un altro dei brani-clou di questo platter. C’è spazio anche per la melodia dolce e struggente, però, e la terza rivisitazione di “Sear Me” (“Sear Me III”, appunto) è in fondo alla tracklist per dimostrarlo: la canzone ha un ennesimo nuovo testo, praticamente non si riconosce più, eppure il mood antico è quasi palpabile. Altri episodi rileggono in modo più vario tutte le principali caratteristiche della Sposa Morente, mettendo in mostra anche la bravura stilistica del nuovo drummer Shaun Steels, sentito all’opera già su “Alternative 4” degli Anathema: “The Night He Died”, “The Isis Script” e “Into The Lake Of Ghosts” completano un lavoro estremamente piacevole e convincente, soprattutto per chi ha sempre amato la band albionica nella sua versione più estrema e pesante. Non epocale, ma fondamentale per capire passato e presente dei Bride.