6.5
- Band: MYRKUR
- Durata: 00:24:06
- Disponibile dal: 16/09/2014
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
E venne il tempo, correva l’anno 2014, in cui una ragazza danese decise di inventarsi il black metal con canto a cappella. Stiamo parlando di Myrkur, one-woman band che si è posta nei confronti del verbo della nera fiamma con l’idea di intraprendere una piccola rivoluzione al suo interno, utilizzando una voce pulitissima ed eterea, come quella di un coro di angeli, su una base sonora nettamente più cruda e cattiva. Su questa atipica creatura si è gettata come un falco la Relapse, che ha montato una discreta campagna promozionale durante l’estate per annunciare la venuta di Myrkur, programmata per la metà di settembre con l’uscita dell’ep omonimo. In un’epoca come questa, in cui la ricerca del sensazionale e dell’esotico è sport diffuso, è giusto porsi con equilibrio e, perché no, un pizzico di scetticismo, di fronte a operazioni di tal fatta. La promessa di grandi rivoluzioni e sovvertimenti di regole scritte nella pietra lascia sempre il sospetto che si stia spacciando per oro del volgare ferro ed andiamo quindi con i piedi di piombo nel verificare la bontà del lavoro di questa giovane musicista. Non è in discussione il valore dei vocalizzi di Myrkur, che è realmente in possesso di una voce cristallina e di ottima estensione, destinata per la sua natura a farci vivere sensazioni fiabesche, a evocarci quadretti idillici e tipicamente nordici, a farci sognare e immaginare mondi fatati e senza brutture. Il problema vero dell’ep è che la nostra cara fanciulla danese sa maneggiare benissimo la voce, ma non ha sufficiente destrezza né idee abbastanza sviluppate per estrarre altrettanto valore dagli strumenti. Myrkur avrebbe dovuto farsi aiutare da qualcuno con più esperienza di lei, sia per il songwriting, sia per le scelte dei suoni, che sanno tanto di prodotto fatto in casa con molta buona volontà e un pizzico di pressapochismo, vuoi per mancanza di tempo, vuoi soprattutto perché è mancata la capacità di rifinire al meglio i particolari. La batteria, l’anello debole di tutta la catena, è stata probabilmente programmata al computer con il solo intento di tenere il tempo, suona davvero molto anonima e priva di guizzi che rendano importante il suo operato, e il basso d’altro canto è quasi inesistente, impalpabile. Le chitarre soffrono di poca profondità e faticano a far male quando sono improntate a connotazioni stilistiche tipiche dei primi Darkthrone e Satyricon, come accade nell’opener “Ravnens Banner”, mentre cominciamo a sentire idee interessanti da “Må Du Brænde I Helvede”, nella quale s’inizia a ricamare black metal emozionale sulla scia di Alcest e Deafheaven. I tentativi di essere graffianti e – sporadicamente – malvagi sono titubanti, alla stregua di un affondo schermistico rimasto a metà strada, che porta inevitabilmente ad un contrattacco vincente da parte dell’avversario. I chiaroscuri e le armonie celestiali di “Nattens Barn”, non a caso scelto come brano apripista per presentare il lavoro – è noto da luglio – mettono finalmente in chiaro cosa Myrkur sappia fare meglio: creare sentimenti ambivalenti, giocare con le emozioni e disegnare affreschi in tinte azzurrine, inondarci di luce e farci volare tra le nuvole provocandoci vertigine e meraviglia. “Nattens Barn” è a tutti gli effetti l’unica traccia nella quale la forza contundente del black metal si sposa perfettamente con la voce candida e per certi versi bambinesca, nelle resto dell’ep musica e linee vocali viaggiano su binari paralleli e faticano a incontrarsi e a espandere vicendevolmente le proprie potenzialità espressive. Questo esordio è quindi un frutto ancora un po’ acerbo, già di per sé apprezzabile ma da rivedere in alcuni dei suoi tratti essenziali, affinché la band danese possa diventare qualcosa di realmente imperdibile, e non una fugace bizzarria di fine estate.