7.5
- Band: NACHASH
- Durata: 00:40:57
- Disponibile dal: 31/01/2025
- Etichetta:
- Signal Rex
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Sono una band a cui piace lavorare con calma, i Nachash, lontano dalle luci dei riflettori (underground) e senza particolari interessi a diffondere il proprio nome all’interno della scena, quasi che l’intento fosse quello di sfidare gli ascoltatori più attenti e ricettivi a scoprirne le gesta in un mercato ormai stressato dalle nuove uscite e dalla logica dell’hype.
Dal 2011, infatti, il terzetto di Oslo si è reso protagonista solo di un demo, un EP e due full-length (incluso questo “Eschaton Magicks”, in uscita per la portoghese Signal Rex), per una politica dei piccoli passi che però continua a garantire alla sua musica uno spessore notevole e un taglio squisitamente fuori dal tempo, partendo da basi piane per poi lanciarsi all’avventura in percorsi più tortuosi che non rendono così semplice liquidare il tutto come l’ennesima operazione nostalgica e rètro.
Stilisticamente, i Nostri possono essere ricondotti a quel calderone norvegese che negli ultimi lustri ha dato i natali a gente come Nekromantheon, Obliteration e Reptilian, e – in modo simile ai loro connazionali – approcciano la materia old-school avendo a cuore sia l’impatto che la ricerca, l’esplorazione di canali ombrosi nei quali esaltare la propria emotività inquieta, per un flusso capace tanto di ghermire rapacemente, esaltando l’animo percussivo e velenoso del guitar work, quanto di avvolgere con un tocco più compassato, tra epicità e finezza.
Musica che attinge da un numero significativo di fonti e che potremmo ricondurre alla dimensione di un heavy metal dalle tinte estreme e caliginose, con l’eco di certi anni Ottanta a risuonare su uno scenario ricco di avvallamenti, pendii e pianori, il cui svelarsi riporta alla mente tante esperienze diverse – siano esse black, death o thrash – senza però ricordarne con precisione nessuna.
Capita così che una parentesi arrembante in odore di primi Varathron (come l’incipit di “Stygian Nightmare”) ceda il passo a una soluzione che non avrebbe sfigurato su un “Eternal Devastation”, o che un’aggressione proto-death venga repentinamente solcata da arpeggi e melodie classic metal, nel segno di una mutevolezza che diventa presto sinonimo di spontaneità nella commistione delle varie influenze.
Un incedere solo all’apparenza semplice, visti anche i continui oscillamenti di registro e atmosfera e la durata dei singoli brani, e che porta il progetto a compiere un significativo passo verso quell’autorevolezza e quell’eccellenza espresse dagli autori di “Cenotaph Obscure” e “Visions of Trismegistos”, pur non lambendo ancora il suddetto ingegno e dando l’impressione che qualcosa, in termini di efficacia delle strutture, possa godere di un’ulteriore messa a fuoco, con alcuni passaggi lievemente meno fluidi e incalzanti di altri.
La strada, comunque sia, dopo che già l’esordio “Phantasmal Triunity” del 2018 aveva brillato, è nuovamente quella giusta, per un disco che ha il grande merito di crescere con il tempo e di reinterpretare il famigerato ‘già sentito’ con gusto e spirito di scoperta.