7.5
- Band: NAGA
- Durata: 00:54:03
- Disponibile dal: 30/03/2014
- Etichetta:
- Shove Records
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“Hēn” è un termine “supremo” di provenienza ellenica. Nell’Antica Grecia, “Hēn” era il concetto supremo di “tutto”, di ogni cosa, era il termine per esprimere la forma più elevata e vera di esistenza, la parola che descriveva l’idea più “alta”, il tutto da cui tutto proviene e in cui tutto finisce. “Hēn” è anche il debut album dei Naga, blackened doom metal band che, proprio come espresso dalla parola usata per il titolo del loro album, ha come creato un album “enciclopedico” del doom, in cui “tutto” il doom fluisce e trova espressione. Parliamo di un lavoro oscuro e titanico, magniloquente, monolitico quando vuole esserlo, ma anche insulso, lercio, vile e fognaceo quando si stratta invece di somministrare quelle basse frequenze luride e putrescenti che sono alla base di certo “altro” doom, dello sludge, delle derivazioni crust e black ridotte al coma profondo. In questo disco troviamo un po’ di tutto: atmosfere surreali e ambientazioni allucinate alla Neurosis, sepolcri di fumoso e occultissimo esoterismo alla Electric Wizard, malsane e gelide sferzate blackened prese in prestito direttamente da Shining e Primordial, così come cosmiche, lisergiche e monolitiche cavalcate interstellari alla Yob o alla Ufomammut, e putrescenti fogne sludge degne dei migliori Eyehategod o Iron Monkey. Insomma, con fare scaltro e gran tatto i Nostri hanno assemblato un lavoro coeso e altamente espressivo, pervaso da una grandissima familiarità (a volte sintomo di risicata originalità, ma mai senza una gran classe praticamente immanente) e incentrato sull’assimilazione certosina e altamente onnisciente di solenni lezioni del passato e del presente del doom, che hanno posto le basi inossidabili del genere. A tratti la band sconfina eccessivamente nel citazionismo, sfruttando troppo la comoda scia stilistica posta da mostri ben più sacri nel genere (vedasi per esempio il riff centrale di “The Path”, che sembra “Ball of Molten Led” degli Yob, o la struttura portante di “Eris”, sorta di omaggio nascosto ai Ramesses di “Misanthropic Alchemy”), ma nel complesso i Nostri si mostrano bravissimi nel ribadire il lato più epico e solenne del doom, rinforzandone la reputazione dalle fondamenta e rinvigorendone la fiamma con gran gusto e tatto, piuttosto che diluendo il genere con un’altra release piena dei vari cliché strasentiti e arcinoti. Infine, sorpresa della sorprese, non possiamo che plaudire la provenienza cento per cento nostrana dei Nostri, che provengono infatti da un luogo tutt’altro che famoso per il doom metal, Napoli!