7.5
- Band: NAHEMAH
- Durata: 01:00:51
- Disponibile dal: 29/01/2007
- Etichetta:
- Lifeforce Records
- Distributore: Andromeda
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Come i Moonspell, se fossero portoghesi. Come i Novembre, se fossero italiani. Ma i Nahemah sono spagnoli, di Alicante, e quindi il discorso cambia, seppur di poco, in quanto siamo di fronte ad una prima assoluta! Probabilmente non ci saremmo esaltati così tanto se suddetta band fosse originaria della Svezia (Katatonia) oppure inglese (Anathema), ma così non è, quindi ci tocca solamente scrivere ottime cose su questa splendente e triste creatura. Non conosciamo i dettagli del ‘colpo di mercato’ che ha permesso all’attentissima Lifeforce di scoprire i Nahemah, inattivi praticamente da cinque anni (un disco autoprodotto e un full ufficiale introvabile, “Chrysalis”, rappresentano la discografia del gruppo, che però si ferma al 2002), ma fatto è che questa formazione iberica dà finalmente una scossa al metal estremo di una nazione finora ricordata, ad un certo livello, solo per i Mago De Oz e i Dark Moor. Il metal dei Nahemah è ovviamente riconducibile a quello proposto dalle formazioni citate in apertura di recensione, ma proprio i nostri Novembre sembrano essere l’influenza più evidente di Pablo Egido e compagni: atmosfere rarefatte, sognanti, crepuscolari, si intersecano con decise urla di dolore e disperazione e ritornelli puliti decadenti e malinconici; e se nelle linee vocali clean lo stile e il gusto di Pablo rammentano quello di Carmelo Orlando, nel growling si avvicinano ad un Mikael Akerfeldt un po’ meno lugubre, per una prestazione davvero molto convincente. Le chitarre di Miguel Palazón e Roberto Marco si librano soavi in un riffing liquido e abrasivo allo stesso tempo, per poi avvolgersi in cupi arpeggi che sanno di Opeth, così come di Dark Tranquillity epoca “Projector”; la sezione ritmica Porcel/Diego è degnamente preparata e fantasiosa, ma ciò che rende “The Second Philosophy” un lavoro incredibilmente maturo e affascinante sono gli arrangiamenti, soprattutto le parti elettroniche ed effettistiche che danno il fondamentale tocco di personalità alla band. Il disco è omogeneo, i pezzi sono di medio/lenta assimilazione e forse un pochino troppo simili, tutti di notevole durata, aventi lo stesso mood di base e non facilmente riconoscibili dopo pochi ascolti; ma questi sono solo problemini di poco conto, in quanto la bellezza e l’emozionalità di brani quali “Siamese”, “Change”, “Subterranean Airports”, “Today Sunshine Ain’t The Same” e soprattutto “Phoenix”, lasciano spesso di stucco per gusto e sensibilità. Un bell’artwork ed una produzione adatta alla release completano l’opera dei Nahemah, un gruppo che si permette un’accelerazione 0-100 degna di un’elegante macchina sportiva. Per i fan dei gruppi citati sopra, se proprio non volete andare ad occhi chiusi (cosa alquanto consigliata), l’ascolto è d’obbligo! Piccola meraviglia.