7.0
- Band: NASTY SAVAGE
- Durata: 00:43:59
- Disponibile dal: 04/10/2024
- Etichetta:
- FHM Records
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Gli statunitensi Nasty Savage rappresentano senza dubbio una delle realtà old-school metal più bizzarre e controverse dell’intero panorama, non soltanto per ragioni musicali, ma anche per questioni legate alle particolari soluzioni sceniche ad opera del loro corpulento leader Nasty Ronnie, divenuto famoso a suo tempo per via dei suoi buffi siparietti e, soprattutto, dei suoi atteggiamenti autolesionistici sul palco al limite del grottesco, compresa la pratica di tagliarsi con una lametta o, volendo fare l’esempio più eclatante, tirarsi letteralmente un televisore in testa con l’intento di romperlo, con risultati spesso piuttosto deleteri per la sua salute.
Tutte soluzioni che hanno spesso distolto l’attenzione dal loro comparto musicale di stampo tipicamente heavy/thrash statunitense, il quale negli anni è stato tuttavia più di ispirazione di quanto sarebbe lecito aspettarsi, soprattutto se prendiamo in analisi il loro lavoro di esordio autotitolato datato 1985 e i suoi due seguiti diretti.
Questo nuovo “Jeopardy Room” giunge ben vent’anni dopo il suo predecessore non proprio eclatante, con delle premesse invero abbastanza interessanti e curiose, anche per via del coinvolgimento di un ottimo produttore come Jim Morris, il quale ha lavorato in passato anche con gente come i Savatage e i Crimson Glory, tra i tanti. Il contributo di quest’ultimo, possiamo dirlo, gioca un ruolo fondamentale nella riuscita finale del prodotto, che riesce a risultare old-school in maniera per niente artificiosa, con dei suoni gestiti in una maniera ottimale, soprattutto se l’obiettivo era fornire una parvenza classica, senza però sfociare in una di quelle produzioni invecchiate artificialmente.
In effetti, con non poco stupore, bisogna ammettere che il lavoro funziona meglio di quanto ci saremmo aspettati sotto gran parte dei punti di vista: il sound è impattante come i singoli brani, che risultano aggressivi e distruttivi nelle loro soluzioni più vicine al thrash che in passato, quando la componente heavy risultata forse un po’ più evidente rispetto a qui, ma non ci sentiamo di catalogarlo come un difetto. Anzi, riteniamo che la spinta terremotante di pezzi come la iniziale title-track, “Brain Washer” e “Operation Annihilate” possa essere un autentico toccasana per gli ascoltatori affamati di grinta e moshpit, senza però dimenticare che un album heavy/thrash non è solo velocità; non a caso, per gran parte della tracklist la band decide sì di accelerare, ma senza eccedere su quella componente, donando al tutto una parvenza ottimamente bilanciata e fortemente orientata sui riff di chitarra rocciosissimi e passaggi quasi solfeggiabili nella loro cattiveria sonora.
Un valido esempio di questo concetto possono essere “Southern Fried Homicide” e “Blood Syndicate”, che tuttavia si permette di agitare le proverbiali acque nella seconda metà, prima della strumentale “The 6th Finger” e della conclusiva “Sainted Devil”, che ci è parsa purtroppo meno eclatante di quanto ci si aspetterebbe da una canzone di chiusura.
Tuttavia, il pezzo più interessante non può che essere l’oscura “Witches Sabbath”, che a delle influenze quasi horror/heavy metal affianca la graditissima partecipazione di Donald e John Tardy degli Obituary, che non sono ascesi al loro ruolo di autentici miti del death metal per niente e ci fa davvero piacere poterli ascoltare in un contesto leggermente diverso rispetto al solito.
Mettendo da parte il comparto vocale ad opera del sopracitato frontman, per forza di cose più affaticato rispetto al passato, il difetto principale dell’album risiede in una certa ridondanza delle soluzioni adottate, che di fatto porta alcuni brani ad assomigliarsi un po’ troppo, anche se questo non pesa eccessivamente in termini di risultato finale, che di fatto conferma come possono sopraggiungere prodotti più che convincenti anche dalle formazioni da cui ci si aspetterebbe ben meno, anche per via della lunga assenza.
Chiaramente non c’è pressoché nulla per cui commuoversi o gridare all’uscita dell’anno, ma se vi piacciono i classici stilemi del thrash e dell’heavy metal qui troverete sicuramente qualità e passione, a scanso di qualche ingenuità. Come si suol dire, meglio un’album ficcante in più che uno in meno.