8.0
- Band: NECROART
- Durata: 01:05:15
- Disponibile dal: 21/05/2010
- Etichetta:
- Orquestra De Muerte
- Distributore: Masterpiece
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Ci hanno impiegato poco meno di cinque anni i nostrani Necroart per tornare in pista con del nuovo materiale, qui prendente forma nel secondo full-length del gruppo, intitolato “The Suicidal Elite”. Dopo il buono “The Opium Visions”, la formazione pavese si (ri)dimostra una realtà di qualità nel panorama avantgarde-death metal italiano e – oseremmo dire – europeo. Lo stile del combo, assolutamente non stravolto dal lungo lustro d’assenza dalle scene, si rifà a diverse correnti del metallo oscuro ed estremo, partendo da death e black per poi giungere a folk e doom-gothic, il tutto ammantato da un’aura progressiva molto raffinata e pregna di classe. Insomma, un avant-death che a tratti ricorda i Dark Lunacy, con spruzzate di My Dying Bride, Novembre, Type O Negative ed Opeth a rimpolpare lo spessore e la profondità di un disco composto da brani prevalentemente di lunga durata ma che, nonostante l’osticità di base, sanno come penetrare facilmente nelle difese dell’ascoltatore. Ne è esempio lampante “The River”, prima hit dell’album, un episodio che è decisamente a cavallo tra black, folk e prog e che presenta anche un epico e aggressivo stacco melodico che ci porta in territorio Edge Of Sanity. La title-track è invece, con valide probabilità, la traccia simbolo di “The Suicidal Elite” ed è trascinante il flavour dal sapore greco (chi ha detto Rotting Christ?) che si ode nelle sezioni più arrembanti del brano, mentre è semplicemente toccante la parte classico-sinfonica posta a centro brano. Type O Negative e My Dying Bride sono protagonisti nello svolgersi della dark-oriented “The Funeral Within”, un vero gioiellino che precede la canzone più aggressiva del lotto, “Demonwitch”, dal sinuoso e sinistro evolversi melodic black. Tanti nomi, è vero, e tante influenze per i Necroart, che però sanno sapientemente convogliare le loro fonti di ispirazione in un songwriting ben definito e accattivante, in grado di soddisfare sia palati rozzi che gusti sopraffini. Un lavoro che, considerata la sua notevole durata, è difficile da apprezzare subito nella sua totalità, ma che cresce inesorabilmente già dopo qualche ascolto. Riffing, sezione ritmica, tastiere, uso delle voci, arrangiamenti, produzione: in “The Suicidal Elite” è dura trovare un punto debole, soprattutto se si è amanti delle sonorità estreme, cupe e decadenti, plasmate attorno ad un fulcro di eleganza e varietà. Un gran bel ritorno, dunque, per una formazione italiana che merita di certo la vostra attenzione. Dategli una chance e non ve ne pentirete!