7.5
- Band: NECROPHOBIC
- Durata: 00:53:57
- Disponibile dal: 15/03/2024
- Etichetta:
- Century Media Records
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Parlare di una nuova opera di Sebastian Ramstedt e compagni come del ‘solito’ disco dei Necrophobic è tanto giusto quanto sbagliato. Giusto, perché lo stile degli svedesi, dopo svariati decenni di carriera, è ormai ampiamente codificato e riconoscibile nel giro di poche battute, in una miscellanea luciferina che dagli antichi esordi non si può dire abbia perso molto smalto per strada. Sbagliato, perché in fin dei conti, tra un lavoro e l’altro, qualche sottile differenza è sempre possibile rintracciarla, a dimostrazione di un percorso artistico che – nonostante l’indubbia coerenza di base – sa anche come concedersi qualche deviazione o sosta in uno scenario non per forza identico ai precedenti.
Così, se “Mark of the Necrogram” (2018) si era distinto per un taglio particolarmente vario e arrembante, con diverse hit istantanee al proprio interno (basti pensare alla famigerata “Tsar Bomba”), e il successivo “Dawn of the Damned” (2020) per un ampio dispiegamento di soluzioni cupe e frastagliate, tanto da configurarsi come l’album meno diretto del gruppo, l’imminente “In the Twilight Grey” sposta ancora un po’ la traiettoria, ponendo particolare accento sugli elementi classici da sempre presenti nel death-black dei Nostri. Utilizziamo il plurale, ma potremmo anche riferirci al solo Ramstedt, custode delle chiavi del songwriting che qui, dopo la notevole esperienza nel progetto parallelo In Aphelion, imbastisce una tracklist lunga, a dir poco ricca di spunti e solcata da correnti ascensionali che, incanalate dalla tonante produzione di Fredrik Folkare (Unanimated, Unleashed), si ricollegano presto a certi capolavori degli anni Ottanta, suonando ora anthemiche, ora epiche, ora squisitamente thrasheggianti e aggressive.
Come detto, non parliamo di componenti sconosciute al marchio di fabbrica Necrophobic, ma la maniera in cui oggi il quintetto cita/omaggia i vari Bathory, King Diamond, Iron Maiden e Slayer sembra effettivamente frutto di un pensiero a monte, della volontà – più o meno conscia – di ricongiungersi alle emozioni e ai ricordi della propria adolescenza, in un processo regressivo che ha il grande pregio di crescere e insinuarsi sottopelle con il passare degli ascolti.
Certo, l’incedere del singolo “As Stars Collide” non è esattamente di quelli per cui strapparsi le vesti, avvicinandosi un po’ troppo al clima ‘da stadio’ dei connazionali Amon Amarth (cosa che comunque, dal vivo, avrà il suo tornaconto), così come appare chiaro che il minutaggio di alcuni episodi avrebbe potuto essere sfrondato senza problemi (il tributo al periodo viking di Quorthon di “Nordanvind”), ma nel complesso – a partire dall’azzeccatissima opener “The Grace of the Past” – il decimo full-length della band di Stoccolma ‘gira’ bene come da tradizione, non mancando di ricordare a tutti i motivi per cui questi musicisti sono considerati delle leggende del circuito scandinavo.
Un flusso potente, rifinito, che nel seguire un canovaccio arcinoto e approcciato da quasi ogni angolazione possibile riesce ancora a difendersi egregiamente, imponendosi a tratti sulla concorrenza rappresentata da formazioni più giovani e affamate.
D’altronde, veterani non si diventa per caso, e passaggi come il break arioso di “Stormcrow”, il crescendo diabolico di “Shadows of the Brightest Night” o il finale della titletrack, in cui lo stesso chitarrista interviene al microfono rubando la scena al frontman Anders Strokirk, ne sono la prova, miscelando le unità del suono con un’esperienza che si guarda bene dal diventare sinonimo di timbratura del cartellino.
In definitiva, “In the Twilight Grey” non è che l’ennesimo, convincente tassello di una discografia solidissima e priva di veri passi falsi, destinato con il suo amalgama di ferocia e orecchiabilità, pezzi tirati e altri da corna al cielo, a tenerci compagnia da qui ai prossimi mesi. Come sempre, bentornati all’Inferno.