8.0
- Band: NECROS CHRISTOS
- Durata: 01:53:06
- Disponibile dal: 18/05/2018
- Etichetta:
- Sepulchral Voice
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La carriera dei Necros Christos giunge al termine, ma i death metaller tedeschi chiudono in grande stile. Il lungamente atteso “Domedon Doxomedon” si candida infatti come uno dei dischi dell’anno. Una tessitura sonora di grande suggestione, capace – come da tradizione per la band di Berlino – di partire da solide basi old school per poi arricchirsi alla fonte di molteplici influenze (folk, psichedelia, musica orientale) e fonderle sagacemente in una proposta musicale cangiante e spesso molto personale. L’album si presenta come un elaborato concept dall’estetica radicale e ricercata, ponendosi coerentemente in continuità con la precedente discografia del gruppo, tratteggiando un percorso che già dal consueto intro – “Temple I?: The Enlightened Will Shine like the Zohar of the Sky” – riprende esattamente là dove il motivo ombroso di “Gate V” chiudeva l’ormai celebre “Doom Of The Occult” (2011), ricalcandone l’atmosfera arcana e ispirando al meglio l’ascoltatore. Come sempre, la musica dei Necros Christos non è delle più facili e distensive: la linea è quella di un death metal impegnato e ambizioso, incentrato su brani lunghi e strutturati; sono spesso necessari molti ascolti per coglierne le melodie sotterranee, la preziosità degli arrangiamenti, la complessità dei testi. Inoltre, la ricchissima scaletta è sempre costruita in modo da creare un continuo crescendo emotivo, fra incipit e intermezzi misteriosi sino a finali violenti e liberatori, come se ci si trovasse alle prese con un romanzo o un film. Se l’ascoltatore vi si immerge, come si dovrebbe fare sempre con l’opera di un artista – e in questi tempi convulsi è cosa sempre più rara – è possibile scoprire il mondo interiore di alcuni dei musicisti più ingegnosi e scrupolosi del momento. Rispetto alle opere precedenti dei tedeschi, “Domedon Doxomedon” spicca per una capacità comunicativa mai così pronunciata: sia nei suoi momenti più heavy che nei passaggi all’insegna di epicità e rarefazione, l’album sa emozionare e vibrare di intenso lirismo, svelando – almeno nelle canzoni vere e proprie – una scrittura incisiva, surreale, meticolosa e solenne e un flusso orchestrale che procede per andamento irregolare, a volte legandosi ad una particolare melodia esotica, quasi assottigliandosi in un accompagnamento lieve e discreto, in altre trovando inattese valvole di sfogo in derive vecchia scuola capaci di ricordare subito Slayer, Metallica o Candlemass. Nel suo insieme, “Domedon Doxomedon” è un album pensato attentamente, che evoca sfarzo e solennità con estrema cognizione di causa. Un album che richiede appunto assimilazione per comprendere le infinite variabili su cui si muove. Nel suo lungo sviluppo, “Domedon Doxomedon” riesce a sollevare interrogativi e lanciare provocazioni che non vanno mai a disturbare o interferire con la godibilità e la qualità dell’ascolto. Un testamento definitivo che spiazza ed emoziona per la meticolosità di una produzione ineccepibile e per un songwriting che trasmette spontanea autenticità anche nei suoi passaggi più pomposi.