7.0
- Band: NEPTUNIAN MAXIMALISM
- Durata: 01:09:38
- Disponibile dal: 25/11/2022
- Etichetta:
- I Voidhanger Records
Spotify:
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Fumosi, instabili, deliranti, febbrili nel modo di suonare e nella voracità di produzione di nuova musica. I Neptunian Maximalism procedono come una monumentale fabbrica di idee la loro avventura, inaugurata solo due anni fa dal triplo album “Éons”. Quell’esordio di così ampie vedute aveva finito per catalizzare le attenzioni degli ambienti più disparati, mantenendo comunque una pesantezza e un’eccessività di fondo che aveva arriso grandi simpatie anche in ambito metal. Tanto da guadagnare in un attimo le attenzioni del Roadburn Festival, seppure per la sua edizione pandemica-streaming del 2021. Ed è proprio nell’ambiente live che l’orchestra drone/psichedelica organizzata dal leader Guillaume Cazalet può esondare da ogni limite, prendendo una piega d’improvvisazione torrenziale che pare il territorio prediletto di questa anomala creatura. Concerti che vengono buoni per proporre musica inedita, partire per viaggi infiniti e stralunati attorno a una miscela sonora ora molto dura e incombente, ora dispersa in mille rivoli, ad appannaggio degli strumenti a fiato, delle percussioni e dell’effettistica. Se il corposo disco dal vivo “Solar Drone Ceremony” aveva rappresentato una delle ultime testimonianze sul palco prima del blocco pandemico, “Finis Gloriae Mundi” riecheggia del furore della piena ripartenza, rappresentando una composizione in più atti inedita, andata in scena al Doornroosje di Nijmegen, Paesi Bassi, nel 2021.
Un’allegoria della morte, una celebrazione del suo fascino e del suo potere, questo rappresenterebbe l’opera, che riparte da connotazioni ormai care ai cultori del progetto: musica ondeggiante e sinuosa, stimolata continuamente da una batteria jazzata assai istrionica e imprevedibile, con il sax che si muove a tutto campo e gli altri strumenti a rincorrersi in una danza selvaggia. A tratti mansueti, a tratti schizoidi, essi viaggiano secondo coordinate a questo giro non per forza particolarmente folli, ma stratificati in modi comunque eccentrici che non fanno mai scivolare quanto suonato in un mero esercizio di stile. La musica prende quasi immediatamente una piega ipnotica, scandita da urla isolate, nenie di sitar, rimbombi di basso e tromba, veleggiando tra momenti sornioni e altri più acidi e adrenalinici. In “Finis Gloriae Mundi” viene sottolineata ulteriormente la fascinazione per la musica tribale, con la messa in mostra di un vasto campionario percussivo e una sua pressante centralità nella definizione dell’impronta stilistica del live. Anche la voce, in apparizione con urla declamatorie da santone pazzo e invasato, ha una sua fondamentale importanza nel plasmare atmosfere fuori dal tempo, spirituali in un senso abietto e angosciante; un’angoscia quasi leggera, dato il protrarsi sì sinistro, ma vagamente morbido e impalpabile di alcuni movimenti.
L’amalgama confezionato da Cazalet e i suoi collaboratori, data la densità di uscite in un tempo piuttosto ridotto, potrebbe anche apparire come una ripetizione su scala industriale – con poche modifiche – di un progetto di base vincente: il dubbio è lecito, il rischio di assuefazione a uno stile ridondante e di ardua comprensione potrebbe emergere e allontanare dai Neptunian Maximalism anche chi li ha inizialmente apprezzati. “Finis Gloriae Mundi” non può contare sull’effetto-novità di “Éons” ed ha una parvenza più sfilacciata e incorporea di “Solar Drone Ceremony”, con quest’ultimo ad essere relativamente più coeso e assimilabile. Preso in sé e per sé, è comunque una pubblicazione affascinante, da affrontare però solamente se si è patiti di sonorità drone-jazzate-tribali dilatate a dismisura, ermetiche e ostili.