
7.0
- Band: NETHERBLADE
- Durata: 00:39:56
- Disponibile dal: 16/10/2020
- Etichetta:
- Volcano Records
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Una fascia bianca si aggroviglia stretta intorno a due mani pronte a sfoderare colpi diretti e ben assestati; sullo sfondo una scritta che non lascia adito a tanti ripensamenti: “Reborn”. Un invito a non mollare mai, a rialzarsi, ad andare avanti, dando un pugno al passato per riprendere il controllo della propria vita. E’ con questa serie d’intenzioni, con questa rinascita sonora e personale che i Netherblade fanno il loro esordio sulla lunga distanza per la Volcano Records. Con “Reborn”, la band milanese arriva a tracciare un perimetro ben definito lungo il progetto intrapreso quattro anni fa, i cui lineamenti si erano già intravisti nel 2018 con l’EP “Annihilation Of Self”. Thrash d’annata quello proposto dai Netherblade dove Exodus in primis, insieme con Death Angel ed Artillery, trovano più di uno spazio all’interno delle dieci tracce previste. Ritmi che si alternano egregiamente tra sfuriate telluriche e passaggi maggiormente ragionati, sui quali si divincola il mix di riff e assoli imbastito dalla coppia formata da Simone Aiello e Davide Aiecco; segnali positivi che confermano una preparazione tecnica più che discreta da parte di tutto l’ensemble strumentale. Ed un perfetto esempio lo abbiamo immediato nei quattro pezzi iniziali, intro esclusa, in cui, ripassando per bene le leggi principali del thrash, scariche adrenaliniche lasciano il posto ad intermedi più studiati e melodici (la titletrack e “‘Till The End” ne sono testimoni). Non mancano comunque alcune sorprese, a dimostrazione di come il copione intarsiato dai cinque lombardi non è un semplice copia-incolla del glorioso passato: sia “Braindamage” sia, soprattutto, “Killing Spree” mettono in mostra la volontà di Aiello e compagni di spaziare all’interno del genere, inserendo trame a loro modo sperimentali. Ma se, come sottolineato, la sezione strumentale supera la prova del debutto, presentando ampi margini di miglioramento futuro, ciò non si può altrettanto dire per quanto concerne il comparto vocale: la prestazione del singer Andrea Ledda, infatti, non convince del tutto, rimanendo spesso a metà strada tra un timbro troppo strozzato (“Eyes Of The World” e “From The Abyss” su tutte) ed uno scream più performante e in linea con la musicalità dei brani, come attestato dalla stessa “Reborn” o dalla conclusiva “Nothing Is Real”. Un dettaglio che va quindi a smorzare lo slancio generale di un album sicuramente compatto e ben prodotto, sul quale tuttavia i Netherblade dovranno lavorare per stabilire il giusto equilibrio tra voce e strumentazione.