NEUROSIS – Souls At Zero

Pubblicato il 01/06/2013 da
voto
10.0
  • Band: NEUROSIS
  • Durata: 01:01:15
  • Disponibile dal: 19/05/1992
  • Etichetta:
  • Alternative Tentacles

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Ed infine l’ora dell’Apocalisse arrivò. Alla prova del fuoco del terzo album – da sempre test importante per le band che vogliono durare nel tempo – i Neurosis non solo non tradiscono le aspettative, ma vanno clamorosamente oltre ogni più rosea previsione, venendo proiettati direttamente nel mito. “Souls At Zero” è una nuova partenza per i ragazzi di Oakland ed è il punto zero, la particella che diede origine al Big Bang post hardcore e che presto si trasformerà in post metal. Dopo “Souls At Zero” la percezione della musica estrema non è stata più la stessa, la rivoluzione è quindi iniziata. Dai tempi dei Black Sabbath, il metal è vissuto sopra ad un continuo rinnovamento, a volte graduale e conseguente, a volte doloroso e radicale, a volte teso ad estremizzare ciò che già c’era, altre volte improntato ad una voglia di novità ma comunque sempre dentro ad un solco ben riconoscibile. I Neurosis hanno troncato questa tradizione, creando davvero qualcosa di nuovo, mai sentito, entusiasmante ed agghiacciante allo stesso tempo, fedele specchio di quel mostro deforme che è la vita quotidiana in un mondo alienato. Da questo punto di vista possiamo considerare “Souls At Zero” il primo lavoro realmente post, sebbene ad esempio dall’altra parte dell’oceano i Godflesh già da qualche tempo stavano annichilendo tutti con il loro metallo industrialoide che comunque ha influenzato anche Scott Kelly e soci. La crasi con il passato hardcore è stata quasi totale, i Neurosis da qui in poi inizieranno un percorso che li porterà semplicemente oltre a tutto e a tutti in ambito metal, e sempre più ci si renderà conto di come i loro continui ascolti e la loro passione per la musica a 360 gradi influenzi costantemente i ragazzi di Oakland, cosa che li farà essere per anni ed anni almeno un paio di passi avanti a tutti. I Neurosis – così come prima di loro i Black Sabbath dell’era Ozzy, gli Swans, i Black Flag e in maniera minore i Melvins – triturano ogni tipo di musica che passi per le loro orecchie e la rielaborano secondo una forma mentis sempre differente, ma il cui filo rosso è una cupezza raggelante, un’oscurità infinita, una rabbia mal repressa, rendendoli i cantori perfetti di una generazione frustrata che però non ci sta a piangersi addosso seguendo idoli con le camicie a scacchi e vuole invece esprimere questa rabbia in maniera più conscia e responsabile. Dopo “The Word As Law”, i Nostri hanno dato alle stampe un paio di episodi minori, quali un EP (contenente una cover dei Joy Division) e la partecipazione ad uno split CD di tributo ai Discharge. Poi silenzio. Per due lunghi anni la band lavora a “Souls At Zero”; la Lookout non ha le forze di spingersi tanto in là ed ecco allora arrivare l’offerta irrinunciabile della Alternative Tentacles, label che sta vivendo il miglior momento della propria storia proprio in quegli anni ed a capo della quale siede Jello Biafra, ex Dead Kennedys e sorta di mito dell’hardcore. Biafra si dimostra un discografico attento e capisce perfettamente che quello che si trova in mano è una bomba destinata ad esplodere e a fare ricadere su di lui una gran quantità di dollaroni fumanti. Mette quindi a disposizione della band una squadra intera di tecnici del suono guidata da Bill Thompson e si occupa personalmente del mixing, donando al tutto un’aura soffocante ed apocalittica che calzerà a pennello sulle composizioni. I Neurosis dal canto loro si ripresentano all’appuntamento discografico come quintetto, avendo aggiunto in line up Simon McIlroy, che andrà ad occuparsi di tastiere e sample. Già questo è sintomo di grandissimo coraggio, dato che ad inizio anni Novanta le band che utilizzano un tastierista in ambito metal erano pochissime e mal viste ed in ambito hardcore la cosa rappresentava addirittura un’eresia. Ma qui, come già scritto, non si tratta né di metal né di hardcore, ma di una fusione perfetta delle due componenti (e non solo!) che in mancanza di una terminologia appropriata per descrivere l’ibrido verrà chiamato post. Le reazioni a “Souls At Zero” furono letteralmente entusiaste: magari molti non lo capirono sin da subito (chi scrive ammette di essersi spaccato la testa per anni sui Neurosis prima di ottenere la chiave di lettura che gli ha aperto gli occhi), alcuni – pochissimi – furono delusi dalla svolta ed anzi speravano in un rientro immediato nei binari dell’hardcore. La maggior parte di critica e pubblico però capì abbastanza in fretta che si trattava di un album epocale, un capolavoro che sarebbe rimasto per sempre negli annali della musica estrema. Quando il 19 maggio 1992 Biafra sganciò la bomba, l’onda d’urto spazzò via tutto e tutti, facendo capire al mondo che il futuro iniziava da lì. L’opening track “To Crawl Under One’s Skin” (che peraltro è anche uno dei modi migliori per descrivere la proposta dei Neurosis) parte distante, aliena, quasi tribale ed industriale, sicuramente inquietante. Al minuto 1:25 quello che è il brano vero e proprio inizia a spandere il proprio veleno, guidato da un basso sempre vivo e pulsante ma che – a differenza del passato – lascia il posto a delle chitarre assolutamente deviate, che disegnano riff sbilenchi ma efficacissimi, usano effetti disturbanti e alternano i muscoli al cesello come nessuno si era mai sognato di fare prima di allora, dimostrando che anche la lezione della dark wave e degli Swans era stata appresa, metabolizzata e poi vomitata fuori dall’inferno. Agghiaccianti le parti vocali, con uno Steve Von Till animalesco a punteggiare la rabbia espressa da Scott Kelly. La band già allora insiste su degli arpeggi e su dei break di matrice ambient che – lungi dall’alleggerire il loro sound – rendono il tutto ancora più oscuro e terrificante, come non si era mai sentito prima in ambito metal. Un capolavoro assoluto di ogni tempo. Si prosegue con la title track e con le tastiere di McIlroy a stuprare quelli che in origine dovevano essere soffusi passaggi wave e ad accoppiarli con delle chitarre che giocano con le note acute prima di fare partire una distorsione pazzesca su base doomy che, da lì a qualche anno, gli esperti etichetteranno come sludge. Jason Roeder dietro alle pelli sfrutta tempi e sonorità tribali, accompagnato da un Edwardson il cui basso non smette quasi mai di doppiare le chitarre strazianti di Kelly e di Von Till. Le due voci dei solisti si amalgamano alla perfezione, creando un unicum indivisibile ed indissolubile. Il riffing è di chiara ascendenza metal, ma a differenza dei molti che in passato già avevano mischiato l’hardcore con il thrash (generi verosimilmente somiglianti tra di loro), i Neurosis scelgono di utilizzare un sound più pesante quale può essere il doom, andando appunto a gettare le basi dello sludge così come lo intendiamo ancora oggi. Si è ancora palesemente sconvolti dalle prime due tracce quando parte “Flight”, che gode di ritmi più veloci e vocalizzi più estremi e sulla quale McIlroy introduce un tastierismo raggelante che proietta i Neurosis vicino ad un certo modo norvegese di intendere il black. Tutto troppo facile per i Nostri, che infatti non si accontentano di creare orrore, ma vanno ben oltre inserendo una vera sezione di strumenti classici nella seconda parte della canzone (citiamo Kris Force alla viola e al violino, Walter Sunday al violoncello, Sara Augros al flauto e Siovhan King alla tromba). Sopra agli arpeggi ed ai vocalizzi di Von Till, quindi, si adagiano docili questi strumenti, che contribuiscono a spingere il confine molto più in là. Anche in questo caso i ritmi bassi e pacati non corrispondono per nulla alla quiete, ma alzano la tensione e la cupezza del tutto. Incredibile! Non si trova pace tra le note di “Souls At Zero”. “The Web” gioca con la pesantezza tout court, spingendosi là dove nessuno era mai giunto, con Edwardson che tenta anche un semi growl, non particolarmente buono peraltro. Naturalmente, quando ci si aspetta la bordata all’altezza del chorus, i Nostri calano le distorsioni riuscendo comunque ad alzare un muro fatto di dissonanze e cementato dalle basse frequenze del basso. Siamo a metà album e già completamente esausti e sconvolti da tanta decadente magnificenza. Abbiamo assistito fino ad ora alla nascita del post e dello sludge ed allo sdoganamento di generi completamente avulsi dalla musica estrema in un mostruoso ibrido che non fa prigionieri. “Sterile Vision” parte con una preghiera sotto i bombardamenti e continua con un arpeggio atmosferico che anticipa in pratica quella che sarà la terza fase di carriera dei Nostri, quella post-“Times Of Grace”. Finalmente le chitarre usano un riff quasi ‘normale’ e metallico, ma la perversa carica insinuante del brano ci penetra fino al midollo per non uscire mai più dal nostro sistema nervoso centrale (To Crawl Under One’s Skin, ricordate? ‘Strisciare sotto la pelle di qualcuno’). Qui i Neurosis stanno sperimentando il modo di fare male tramite metodi non brutali, d’altra parte la nascita dei Tribes Of Neurot è dietro l’angolo. Il binomio atmosfere pacate / scariche adrenaliniche diventerà una delle costanti del sound dei ragazzi di Oakland. Ad impreziosire il tutto, la sconvolgente tromba di King che duetta in sottofondo con McIlroy, mentre Kelly sputa rabbia repressa in faccia al mondo. Ancora Edwardson apre “A Chronology For Survival”: il suo basso fa da tramite tra la sudicia realtà ed un mondo astratto creato dai sample di McIlroy. Le chitarre ancora giocano con suoni puliti e metallici davvero disturbanti, mentre Von Till e Kelly si alternano alla voce con eguale e spudorata efficacia. I ritmi ben presto si alzano, Roeder è un motore perfetto, una guida silente che diventerà sempre più importante nell’economia della band. Il brano è disturbante e vomitevole, ma anche vocato naturalmente verso una sorta di crossover di generi davvero ben fatto. Tra break apocalittici e passaggi mai così vicini al metal, i Nostri riescono ad inserire dei tribalismi che rimarranno nella storia, sia a livello ritmico che a livello vocale. Quando si crede che tutto sia indirizzato verso la fine ecco irrompere ancora il violino della Force, stavolta più gentile e gotico, sotto al quale Roeder inventa passaggi tanto semplici quanto efficaci, andando – ora sì! – incontro ad un finale emozionante ed in crescendo. “Stripped” ha una partenza quasi normale se paragonata al resto, ma ben presto si trasforma in una pazzesca prova di bravura di Edwardson e nell’ennesima pesantissima mazzata sludge inframezzata stavolta da un canto gregoriano! Altro alleggerimento post rock, con tanto di flauto e violini, e poi reprise dal flavour quasi cinematografico. Solo a descrivere questo brano ci vorrebbero tre pagine scritte fitte, tali e tanti sono i cambiamenti al proprio interno; cambiamenti che i Neurosis gestiscono senza creare pasticci o pacchianate, cosa che se possibile li rende ancora più grandi. Siamo quasi in fondo: “Takeahnase” – introdotta da un altro sample di McIlroy – è un brano pazzesco, dove le basse frequenze la fanno da padrone e dove il mood generato in certi passaggi ha la stessa circolarità dei loop elettronici. Quando poi le chitarre esplodono saturissime si riscopre un gusto per il tribalismo che qui trova compimento grazie soprattutto alla carica melodica delle sei corde che contrastano con la ruvidezza vocale di Kelly e con una sezione ritmica mai così coesa. Qui il pathos e la forza melodica trascurata negli altri brani vengono alla luce con la loro carica dirompente e si fatica ad ascoltare senza essere scossi da brividi di piacere. Ormai completamente annullati ed annichiliti, veniamo congedati dalle note del breve outro “Empty”, ma quei 95 secondi non bastano per tornare alla realtà nuda e cruda. “Souls At Zero” ormai ci è strisciato sotto la pelle e li rimarrà per sempre, insieme agli affetti più cari e alle paure più inconfessabili.

 

TRACKLIST

  1. To Crawl Under One's Skin
  2. Souls At Zero
  3. Zero
  4. Flight
  5. The Web
  6. Sterile Vision
  7. A Chronology For Survival
  8. Stripped
  9. Takeahnase
  10. Empty
1 commento
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