NEVERMORE – The Politics Of Ecstasy

Pubblicato il 02/09/1996 da
voto
10.0
  • Band: NEVERMORE
  • Durata: 00:56:05
  • Disponibile dal: 23/07/1996
  • Etichetta:
  • Century Media Records
  • Distributore: Self

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Correva l’anno di grazia 1996, un anno durante il quale venivano registrate alcune uscite discografiche che, a oltre un ventennio di distanza, ci permettiamo di dire che lasciarono il segno, sia in senso positivo che facendo discutere, diciamo. Il 1996 per un certo tipo di metal più estremo fu un anno memorabile, in cui uscirono lavori del calibro di “The Jester Race” degli In Flames, o di “None So Vile” dei Cryptopsy”, per non parlare di “Dusk And Her Embrace” dei Cradle Of Filth oppure di un “Destroy Erase Improve” dei Meshuggah che era uscito soltanto un anno prima. Per contro, quello fu anche un anno di grande cambiamento per alcune delle band più influenti del pianeta, in ambito metal, e stiamo ovviamente parlando dei Metallica, che uscirono proprio in quello stesso anno con “Load”, un album che non ha di certo bisogno di presentazioni, così come “Roots” dei Sepultura, oppure “Youthanasia” dei Megadeth, uscito appena un paio di anni prima. In questo scenario, di fermento totale, di cambiamento verso qualcosa di più accessibile in ambito più mainstream, i Nevermore uscirono con uno degli album più ispirati e potenzialmente portatori di innovazione e, purtroppo, meno considerati di quell’epoca. In “The Politics Of Ecstasy”, il fino ad allora quartetto di Seattle si presenta come quintetto grazie all’apporto come secondo chitarrista Pat O’Brien, che successivamente entrerà in pianta stabile nei Cannibal Corpse. Il mai troppo compianto Warrel Dane considerava, non del tutto a torto, “The Politics Of Ecstasy” come il debutto dei Nevermore e, sebbene questa affermazione sia formalmente scorretta (è noto infatti che il debutto ufficiale risale al 1995), è pur vero che nell’omonimo lavoro dei Nostri e nel successivo EP “In Memory” i pezzi presenti erano fondamentalmente brani già scritti nei tre/quattro anni precedenti, anni in cui la band muoveva i suoi primi vagiti e registrava i demo. Questo suo essere una via di mezzo tra un debutto e un secondo album rende “The Politics Of Ecstasy” un album speciale nel suo genere: esso infatti gode di tutto l’entusiasmo, la genuinità e la freschezza di un debutto, senza presentarne però l’ingenuità, l’incertezza nelle intenzioni e le carenze compositive che spesso hanno i debut. I Nevermore, a questo punto, hanno creato quello che definiremmo come un sound “nevermoriano”, che trae liberamente spunto sia dall’heavy metal classico dei Judas Priest che dal thrash metal di ispirazione classica degli Iced Earth, deviando e facendo libera incursione in territori squisitamente progressive, talvolta persino estremi. Questo è forse il platter più duro, diretto e marziale dei Nevermore, un album in cui l’uso della chitarra da parte di uno spregiudicato Jeff Loomis è assolutamente fondamentale. Le trame chitarristiche sono infatti un connubio azzeccatissimo di melodia e ritmica laddove una è sempre messa in funzione dell’altra. L’ispirazione di fondo è chiaramente di stampo heavy thrash ma ad un ascolto assolutamente attento e sistematico si possono percepire da un lato sia influenze più estreme di origine death metal che dall’altro influenze più cadenzate, moderne e controtempate (dicevamo che i Meshuggah erano usciti giusto un anno prima? Sentite a titolo esemplificativo il riff iniziale e la ritmica di “Next In Line” per capire di cosa parliamo). Ovviamente, poi, una menzione d’onore la meritano le parti vocali, ad opera di un Warrel Dane in stato di grazia che in questo capitolo ha finalmente trovato la sua dimensione più adatta e congeniale. Se nei precedenti capitoli in studio dei Nevermore l’impronta heavy power era ancora molto presente e si mescolava con questo suo modo di cantare molto particolare, quasi recitato e teatrale, in questo disco Dane è un vocalist completamente rinnovato e completo, che ha compiuto una trasformazione completa nonché un’evoluzione totale, maturando stilisticamente, abbandonando un po’ questo suo modo di scimmiottare Rob Halford (si può dire?) e diventando un cantante davvero unico e inimitabile dal primo all’ultimo secondo di ascolto; oltre ad averci guadagnato, in tutto ciò, in espressività, pathos e versatilità. A risaltare nell’interpretazione recitativa e ricca di trasporto emotivo sono ovviamente i pezzi e i passaggi più controllati, come “Passenger” con la sua indole prettamente doom, con questi echi alla Candlemass; oppure ancora, la parte inziale della stupenda cavalcata finale “The Learning”, in cui Dane riesce laddove era riuscito solo in parte in “In Memory”, nel passare da un momento più raccolto e interpretativo ad uno più melodico e cantato fino ad arrivare all’esplosione aggressiva finale. Il registro vocale di Dane è infatti in grado di passare da acuti striduli a momenti di calma totale, sfoderando una timbrica calda e ricca di modulazioni e sfaccettature, con questo suo modo unico ed inimitabile di interpretare i brani così affascinante ed avvolgente. La maturazione della band non sarebbe completa però senza il fondamentale apporto dell’impianto rimico del duo Williams/Sheppard che, se vogliamo, rimane più in seconda linea rispetto ai due fuoriclasse sopra menzionati Dane/Loomis, ma si sa: nessuna struttura può essere eretta su fondamenta non solide. Musicalmente il compito di Van Williams e Jim Sheppard, batterista e bassista dei Nevermore, è proprio quello di supportare ed esaltare l’estro smisurato degli attori principali. “The Politics Of Ecstasy” meriterebbe una disamina accurata di ogni singolo frangente analizzando e contestualizzando l’importanza dei passaggi nell’economia del disco prima e del pezzo poi. Ma non crediamo che nemmeno il più riuscito dei track-by-track riuscirebbe a rendere giustizia e dare il dovuto valore a questo masterpiece. I Nevermore, lo ricordiamo, saranno capaci negli anni a venire di scrivere ancora almeno due (se non tre) album di valore assoluto, e questa loro macroscopica capacità di scrivere grandi pezzi, canzoni pregne di estro, tecnica, significato lirico e trasporto emotivo diventa pienamente evidente in questo full length. Probabilmente questo gruppo non ha mai ricevuto il clamore mediatico di altre band in questa la loro proposta si assestava in quel limbo in cui si poteva piacere a tutti oppure a nessuno Insomma: troppo estremi per essere mainstream e troppo melodici per essere estremi. La reale caratura di questo disco, come spesso accade, fu compreso soltanto a diversi anni di distanza dalla sua pubblicazione, a noi non resta altro da fare se non celebrarne il suo indiscusso valore.

TRACKLIST

  1. The Seven Tongues of God
  2. This Sacrament
  3. Next in Line
  4. Passenger
  5. The Politics of Ecstasy
  6. Lost
  7. The Tiananmen Man
  8. Precognition
  9. 42147
  10. The Learning
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